25/02/13

Lingua, purea di porri, sospetto di agrumi





















Un'altra ricetta del quinto quarto: questa volta ho interpretato la lingua di vitello.







Anche questa ricetta partecipa al contest  Quinto quarto (R)evolution
















Prima di iniziare a cucinare ho fatto delle ricerche in internet e ho scoperto che tutte le ricette prevedevano lunghe cotture o intingoli allucinanti, che alla fine coprivano il sapore della lingua.
Io sono per principio (pregiudizio?) contrario sia alle lunghe cotture che agli intingoli coprenti, cosi' come all'altra perversione, l'abbondanza di ingredienti.
Secondo me sia le lunghe cotture che gli intingoli danno come risultato un sapore diverso da quello naturale.
Insomma, quando il sapore finale e' molto diverso da quello originale (e, in generale, diverso da quello ottenuto con cotture piu' brevi), allora si sta commettendo un arbitrio.
Un esempio e' l'agnello "cotto bene", che secondo me ha perso il sapore dell'agnello. Per me l'agnello dev'essere cotto al rosa.  Punto.  Se non piace il sapore vero dell'agnello, allora mangiate un'altra cosa.
Stesso discorso per la selvaggina: se con marinature estenuanti o con altri artifici si toglie il sapore di "selvatico", ebbene, non e' piu' selvaggina.  Allora mangiatevi una cotoletta. 
Per carita' ognuno fa come vuole, ma io la vedo cosi'.
E gia' che sto polemizzando (noi toscani l'abbiamo nel DNA) vorrei scagliarmi anche contro l'uso di troppi ingredienti.   A parte l'esercizio di virtuosismo -che ognuno puo' valutare come crede- le preparazioni con tanti ingredienti, e quindi con tanti sapori e tanti odori, mascherano una carenza di creativita' di chi cucina, se non proprio la volonta' di imbrogliare, confondendo il palato.
Ohhh, mi sono sfogato....

Ora che vi siete sorbiti questo pippotto procediamo con la mia interpretazione della lingua.
Intanto una cottura che preservasse piu' possibile il sapore originale della lingua.
Poi ho accompagnato la lingua con una semplice purea agrumata di porri, secondo me la migliore alternativa provata.
Il risultato complessivo e' stato -fatemelo dire- eccezionale.  Anche la mia dolce meta', alla quale veniva la nausea al solo guardare la lingua e che si rifiutava di assaggiarla, ha approvato incondizionatamente.
Tanto che dopo l'assaggio fatto a pranzo voleva poi usarla per la cena.  A volte verso le frattaglie si hanno solo pregiudizi.


Ingredienti (2-3 persone)
Una lingua di vitello
1/2 bicchiere di vino bianco.
3 porri
Brodo di verdura
Un sospetto di peperoncino
Grattata di agrumi

Preparazione
Lavare bene la lingua. Asportare il sottolingua dell'attaccatura, troppo grasso e fibroso.
Per facilitare una cottura uniforme tagliare la lingua a fette spesse 1-2 cm.
Per conservare al meglio il sapore della lingua io l'ho cotta a vapore.    La lingua e' consistente, l'avrete visto a tagliarla, ma un'ora sara' piu' che sufficiente.
Nell'acqua aggiungere mezzo bicchiere di vino bianco per profumare il vapore.
Se avessimo cotto la lingua immersa nell'acqua avremmo ottenuto un brodo di lingua e la carne avrebbe perso molto del suo tipico sapore, mentre la cottura a vapore glielo conserva appieno.
Durante la cottura la lingua si secchera', percio' dopo averla tolta immergerla una decina di minuti nell'acqua calda, per reidratarle e ammorbidirla.
Mentre la lingua cuoce preparare una semplicissima purea di porri.  Per farla servira' un litro o un litro e mezzo di brodo di verdura, che si sara' preparato in anticipo.
Tagliare i porri a fette sottilissime, tutta la parte bianca e un po' di parte verde.
Il grosso della parte verde va conservato per utilizzarlo nella minestra di verdura.
Mettere i porri a soffriggere in poco olio e.v.o. e con un sospetto di peperoncino.  Fare molta attenzione che i porri non prendano colore, altrimenti il sapore ne risentira' e sara' meglio buttare via tutto e ricominciare.  Come lo so?  Indovinate....
Spruzzare con poco vino bianco e far ritirare, quindi aggiungere il brodo di verdura e far andare per una ventina di minuti o mezz'ora.  Il risultato non dev'essere troppo liquido, semmai aggiungere il brodo di verdura in due o tre volte, quando si vede che i porri tendono ad asciugarsi.
Assaggiare e regolare di sale.   Trasferire i porri nel bicchiere del minipimer o in buon frullatore, aggiungere una grattata di buccia di limone e frullare ad oltranza.
Ripeto, i porri non dovranno essere in origine troppo liquidi, fare in modo che il risultato della frullatura sia una purea, come nella foto, e non un centrifugato.
Prendere le fette di lingua e spellarle, lo strato bianco superficiale verra' via tutto intero. Spolverare di sale macinato al momento e impiattare, con a fianco la purea agrumata di porri.   Il tutto ben caldo.
Le due fettine di porro sono li' per bellezza, non e' facile rendere gradevole all'occhio della carne lessa.....
Prima di tentare di descrivere il sapore voglio riportare alcune prove di accompagnamento che ho fatto: ho provato con della mostarda di frutta ben scolata, con una salsina a base di senape, con patate cotte nel brodo e condite con olio, sale e prezzemolo.  Secondo me la purea di porri e' il migliore accompagnamento possibile.
Non ho provato con la polenta, sarebbe da tentare con una polentina bianca.
Alla fine confermo che il risultato finale di una lingua cotta cosi' e accompagnata dalla purea di porri e' veramente speciale.



















All'assaggio la carne e' molto saporita, succosa e non grassa. La purea di porri e' delicata, insieme dolce e asprigna, e completa perfettamente il sapore deciso della lingua.   La puntina di agrumato da' freschezza all'insieme.
C'e' anche contrasto tra la corposita' della lingua e la morbidezza della purea.
Non saprei come altro descrivere la bonta' di questo insieme, delicato e saporoso.
Provatelo, ve lo consiglio.


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20/02/13

Anch'io Palio dello Stufato alla Sangiovannese!





















Domenica 17 Febbraio ero a San Giovanni Valdarno, al Palio dello Stufato Sangiovannese.
San Giovanni Valdarno e' un simpatico comune in provincia di Arezzo, ma col prefisso telefonico di Firenze. Questo per far capire che e' un comune che si trova tra due culture: quella guelfa di Firenze e quella ghibellina di Arezzo.  Gli abitanti dicono che hanno preso il meglio delle due, e di loro si dice che abbiano la tipica furberia valdarnina. 
La citta' nasce  -secondo lo scrittore e cronista Giovanni Villani-  nel 1296 per conto della citta' di Firenze, su progetto di Arnolfo di Cambio.   A San Giovanni e' nato il Masaccio, che fu uno dei pittori iniziatori del Rinascimento.
E sempre di pittori parlando, a San Giovanni c'e' una bellissima tempera del Beato Angelico.
A me e' piaciuto particolarmente il palazzo pretorio, tipico palazzo del potere del medioevo, con sulla facciata (e anche lateralmente per mancanza di posto) oltre 250 stemmi dei vicari succedutisi nei secoli.
La strada centrale ha i portici, ma i portici piu' curiosi che abbia mai visto: sono larghi anche meno di un metro.  Molto caratteristici.
Insomma, facciamola corta e andateci, ne vale la pena. Qualche buona indicazione QUI

Si, ma la cucina?
Parlando di cucina San Giovanni e' noto principalmente per due cose: il Tarese, pancetta stesa a lenta maturazione ottenuta dalla pancia del maiale e il famoso Stufato (notare la maiuscola).
Un Tarese tipico misura 70x90 cm e non si trova facilmente perche' il "fornitore" di pancia deve essere di stazza enorme, oltre i due quintali.    Per questo e per altri motivi e' un prodotto dei presidi Slow Food.    Tipicamente viene servito a fette grigliate, in accompagnamento a una zuppa di fagioli zolfini.   Ma e' eccezionale anche a crudo, col suo grasso morbido e delicato.
Ma ancora di piu' San Giovanni Valdarno e' noto per il suo Stufato, assolutamente tipico.
Volgarizzandolo si potrebbe definire uno spezzatino speziato, ma non fatevi sentire a dirlo.   In effetti nella sua unicita' e' un piccolo capolavoro.
L'utilizzo di spezie e' iniziato col ritorno di alcuni Sangiovannesi dalla guerra di Libia, intorno al 1912.  Per una volta una guerra ha prodotto qualcosa di buono: il misto di spezie che caratterizza questo stufato, denominato "drogo".
Per la ricetta generica vedere QUI,   ne esiste anche una versione in rima, QUI
Ogni cuoco ha la sua particolare ricetta e il suo particolare "drogo". 
E non e' vuoto folclore: il drogo e' venduto (a caro prezzo) persino al bar.
La Stufato alla Sangiovannese e' mangiato tutto l'anno, ma in particolare nel corso degli "Uffizi" di carnevale, in cene di centinaia di persone.  Lo dico con cognizione di causa perche' ho conosciuto un Camerlengo degli Uffizi, per Industria e Vicariato, Ennio Massini, che saluto caramente.
Mi diceva che in questi Uffizi (cerimoniali in memoria dei defunti, che si tengono pero' nelle cinque domeniche di Carnevale!!) hanno messo a tavola anche 380 persone.
Il menu tipico comprende: antipasti toscani, con Tarese, affettati, crostini, seguiti da una minestra in brodo, da un primo, che puo' essere anche la tradizionale pappa col pomodoro, quindi da una sontuosa porzione di stufato, poi da roast-beef e infine da un arrosto. Poi, frutta, dolce, caffe' e ammazza caffe'.  Mi diceva anche che, visti i deboli stomaci d'oggi, stanno pensando di eliminare l'arrosto e che tra lo stufato e il roast-beef si dovrebbe inserire una fetta di formaggio e una pera "per ripulirsi un po' la bocca".
Adesso dovrei parlarvi del Palio, ma sono in soggezione, perche' prima di me hanno pubblicato i loro post due amiche: Cristina   e Patrizia   
Eccole qui, tra armigeri, sbandieratori e musicanti.


















Se volete una buona cronaca del Palio leggetevi i loro post, io non avevo portato neanche la macchina fotografica e ho chiesto di poter usare qualche loro foto.
Il Palio e' una competizione tra cuochi, detti "stufatari".   Fino all'anno scorso dei professionisti e da quest'anno invece dei dilettanti, ossia gente comune. 
Non so se avete notato che sto emettendo una cortina fumogena di parole, anche per evitare paragoni tra la mia sguarnita cronaca e quelle di queste due agguerritissime foodbloggers.
Pero' qualcosa dovro' pur dirla, quindi iniziamo dal perche' ero a San Giovanni in occasione del Palio.
Mi avevano invitato a far parte della giuria del Palio, assieme a Cristina e Patrizia, grazie al buon Leonardo Romanelli.
Ora.       Nella vita ne ho fatte tante, ma era la prima volta che facevo il giurato.
Immaginatevi uno stanzone enorme (il refettorio della Basilica di Santa Maria delle Grazie) con un lungo tavolo per tutti i giurati e tutto intorno tavoli apparecchiati per un centinaio buono di persone.  Noi giurati avremmo dovuto sentenziare su sei stufati, mentre intorno il centinaio di persone si sarebbe strafogato con uno di quei pranzi che ho gia' descritto.  La giuria era numerosa, con presidente Leonardo Romanelli e personalita' cittadine, come il Sindaco (Maurizio Viligiardi, persona molto alla mano e col quale abbiamo parlato degli eventi Sangiovannesi), il presidente della Pro Loco Silvio del Riccio, giornalisti, come la cara Irene Arquint che ho rivisto con molto piacere e Valeria Carbone, che ho conosciuto in questa occasione.   C'era, necessariamente, il fiduciario della condotta Slow Food del Valdarno, Gianrico Fabbri.  Devo nominare anche la maestra di cerimonie, la bella Melania, che con occhio attento spartiva gli ospiti e controllava l'andamento.  Noi a tavola eravamo 13 giurati, meno male che non sono superstizioso.  Leonardo Romanelli era al centro della tavola, ma ne e' uscito incolume :)
Accanto avevo Patrizia e Cristina, ecco qui una nostra foto col  buon Romanelli.






















Sull'altro lato avevo il Camerlengo Ennio Massini, con cui ho conversato intensamente tra un assaggio e l'altro.
Lui, sapendo che non ero Sangiovannese, e quindi a priori inesperto di Stufato e presumibilmente incapace di giudicare bene, mi aveva premesso: "Poi alla fine glielo dico io qual'era il migliore".
Toccato sul vivo ho fatto il mio dovere di giurato puntigliosamente, e alla fine ho avuto la soddisfazione di scoprire che la mia classifica coincideva al 99% con quella dell'amico Camerlengo.
Come dire: "buon palato non mente".
I sei assaggi si sono succeduti a distanza di una decina di minuti uno dall'altro, serviti su un sottomano di cartone con stampigliato il posto di ogni assaggio...
























I parametri di giudizio erano diversi, tutti da utilizzare nei punteggi.  Per esempio, posso dirvi che (grazie alla chiaccherata con l'esperto Camerlengo) lo stufato in fotografia era un po' troppo rosso (troppo concentrato di pomodoro) e lasciava sul fondo troppo liquido, anziche' essere asciutto.  Infine la carne si era in parte sfilacciata, mentre avrebbe dovuto restare piu' compatta.
Siamo stati dei giudici occhiuti e severi.....
Tra un assaggio e l'altro mangiavo una fetta di pane, per smorzare il sapore dell'assaggio precedente e delle spezie ivi contenute.
Raccontata cosi' l'avventura del giudice sembra facile, ma vi assicuro che dopo i sei assaggi eravamo col palato un po' confuso, e tornavamo a riassaggiare qualche stufato servito in precedenza per sciogliere qualche dubbio.
Qua sotto potete vedere Patrizia intenta a sciogliere dubbi (la dura vita del giurato....)

























Sono stati dei mini assaggi, mentre intorno si celebrava un pranzo alla Trimalcione.
Non che noi ci si sia alzati con la fame, pero' almeno agli altri tavoli hanno avuto portate diverse, mentre noi eravamo forzatamente limitati allo stufato.
A questo proposito devo riferire che l'amico Camerlengo, finito il giudizio,  si e' fatto portare un piatto di cappelletti in brodo che spandeva un profumo......
Ma ormai era l'ora di andare, abbiamo assisto alla premiazione del vincitore, tale Marco Rossi, il piu' giovane degli stufatari, un brindellone di quasi due metri.

Mentre io ero cosi' impegnato la mia dolce meta', altrimenti nota come la Santa Donna, ha girovagato per San Giovanni, assaggiando varie cosine dai banchi della fiera e soprattutto facendo spese nella sezione abbigliamento e maglieria artigianale.
Grazie a queste l'ho trovata abbastanza tranquilla all'uscita, mentre i consorti delle altre amiche erano un pochetto nervosi.
Che altro?  Mi sono divertito, ho imparato molte cose e in macchina, al ritorno, spandevo ancora odori di spezie varie.   Pardon, di "drogo".
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03/02/13

Una quiche fatta col cuore

        
Quando a volte qualche ricetta non mi viene buona come le altre volte c'e' chi mi dice "non c'hai messo il cuore".
In un certo senso hanno ragione, cucinare senza attenzione e passione non solo non e' piu' un divertimento, ma in piu' e' anche una mancanza di rispetto verso gli ingredienti e verso i commensali.
In questa quiche comunque il cuore ce l'ho messo davvero, ma bovino.   Nessuna meraviglia, caro lettore: nella Quiche Lorraine c'e' la pancetta.  E allora, perche' non il cuore?
Eh si, sono nel mio periodo quintoquartista, e in testa mi frullano idee frattagliose.
Il cuore non ha una grande popolarita', come ad esempio il fegato e le trippe, ma e' un peccato trascurarlo.
E' bene sapere che il cuore bovino e' ricco di vitamina B1, che  e' povero di grassi (ha la stessa quantita' di grassi di una bistecca di manzo!!) e che tra le frattaglie e' quello che ha le minori calorie.

Certo, come tutte le frattaglie contiene colesterolo in buona misura.  Si veda sotto una tabella. dove sono riportati -per una porzione di 100 grammi-, i milligrammi di Colesterolo e di Grassi, e le Calorie (Kilocalorie).

Frattaglia                        Colesterolo   Grassi   KCalorie

Cervello cotto                    > 2000        12,7        157
Cuore di pollo cotto                231          7,2        134
Cuore di bovino cotto             274          6,0        123
Fegato di bovino cotto            385          4,4        142
Fegato di pollo cotto               746          5,5        135
Fegato di suino cotto              290          4,8        140
Lingua di bovino cotta            211         18,0        232

Come si vede il cervello di bovino ha un altissimo livello di colesterolo, molti grassi e molte Kcalorie, mentre e' la lingua quella che ha il piu' alto contenuto di grassi e di Kcalorie.  
Il cuore ha la stessa quantita' di grassi e di Kcalorie della carne di manzo cotta (tagli da bistecca).

Insomma: le frattaglie non vanno demonizzate, l'importante, come al solito, e' non eccedere.


Ma torniamo a noi e all'uso che ho fatto del cuore che ho avuto a disposizione, comprato al supermercato dalla mia dolce meta'.
Cercando in Internet ho visto che tutti lo preparano ai ferri o in umido.    Banale! mi son detto, cosa ci posso fare di originale?     Risposta: una quiche.
Che poi non e' proprio una quiche classica, perche' la mia propensione all'innovazione e al pasticciamento l'ha un po' stravolta.
Ma il risultato e' stato superiore alle aspettative. 

E quindi: ecco a voi una quiche fatta col cuore.


















Ingredienti per una quiche da 20-24 cm:
250 gr cuore bovino a fette
250 gr ricotta
4-5 cucchiai di latte (o panna, per i golosi)
1 cipolla rossa
1/2 bicchiere di olio e.v.o.
1/2 bicchiere vino bianco
1 sospetto di peperoncino
1 cucchiaio colmo di curcuma in polvere
1/2 bicchiere di aceto di mele
1 disco di pasta frolla da 26-30 cm


Preparazione
Accendere il forno e impostarlo a 180-190 gradi.   Ripulire le fette di cuore di tutte le parti bianche (grasso, venuzze e cartilagini varie), vedere sotto......



















Poi tagliarlo a strisce di mezzo cm e quindi a cubetti di mezzo cm.
Tagliare la cipolla a fette sottilissime, praticamente a velo, metterle in una scodella e annaffiarle con mezzo bicchiere di aceto di mele, piu' delicato di quello di vino.
Mescolare e lasciar stare finche' il cuore non sara' cotto.   Questo sistema toglie il forte dalle cipolle, lasciandone il sapore.
























In una padella sui 30 cm versare mezzo bicchiere di olio e.v.o. e aggiungere il sospetto di peperoncino. Versare i cubetti di cuore e far andare a fuoco medio-basso per 5-6 minuti, mescolando spesso. Alzare il fuoco, salare senza timidezza, versare il vino bianco e farlo evaporare mescolando. 
Ho assaggiato il cuore cosi' preparato e: OMG com'e' buono!!!    
Scolando l'olio ci si potrebbero far saltare degli spaghetti e goderseli poi alla grande.   Alla prossima occasione!
In una ciotola mettere la ricotta, allargarla, aggiungere un poco di sale e spolverare con la curcuma in polvere. Mescolare bene, impastando con un cucchiaio.  Aggiungere 4-5 cucchiai di latte e continuare a impastare.  Scolare bene le cipolle e aggiungerle all'impasto.  Scolare dall'olio di cottura i cubetti di cuore e aggiungerli all'impasto.
Mescolare bene, finche' cipolle e cubetti di cuore siano distribuiti uniformemente.
In una tortiera da 20 o 24 cm rivestita di carta forno stendere il disco di frolla.  Ho scelto la frolla perche' il suo dolcino contrasta l'asprino delle cipolle.  Equilibrio, equilibrio...


















Con una spatola stendere l'impasto sul fondo.  Tagliare via l'eccesso di frolla, in modo che  resti un 3 cm di bordo al di sopra della superficie dell'impasto.
Ripiegare questo bordo all'interno, sopra all'impasto, in modo esteticamente piacevole (cosa che a me non riuscira' mai).
Infornare per 30 o 40 minuti, dipende da come funziona il vostro forno, vedete voi.
Lasciar raffreddare fuori dal forno.



















Che bonta'.... La ricotta col suo sapore morbido avvolge i cubetti di cuore, dal sapore deciso.   Le gialla curcuma fornisce quel certo non so che di esotico profumo.   Le cipolle che si trovano qua e la' sono al tempo stesso dolci e asprigne.     La frolla scrocchiante e quasi dolce completa il tutto.
Da bere consiglierei delle bollicine rose', ben fresche.
Che dire?     Sono molto contento della riuscita, questa quiche e' una vera golosita'.










Visto il mio periodo quintoquartista questa ricetta non poteva che partecipare al contest di Cristina e Sabrina: il contest "Quinto quarto (R)evolution"