27/02/16

I meschini su Facebook e il debunking di Vera Gheno

L'amica Vera Gheno aveva pubblicato un bellissimo post su Facebook riguardante un serio debunking sul caso "Petaloso", ma qualche meschino, che evidentemente non ha gradito trovarsi di faccia alla verita', l'ha segnalato ed il post e' sparito.
Per fortuna il Prof. Cortelazzi l'aveva salvato dentro il suo blog.
E da li' lo copio pari pari, ringraziando il Professore, dentro questo mio blog.
Vediamo se i meschini riescono a toglierlo anche da qui.




Il post, scritto con una verve da far invidia a molti dei giornalisti che sono intervenuti sulla presunta coniazione dell’aggettivo petaloso, con successivo presunto accreditamento da parte della Crusca, non può restare confinato (si fa per dire) su Facebook. Lo riproduco qui, precisando che concordo in pieno con tutti i suoi contenuti (ma mi astengo, comunque ringraziando, sul giudizio relativo al mio precedente post sull’argomento).


PETALOSO-GATE – SERVIZIO DEBUNKING
Il mio bufalometro è scoppiato a più riprese, in questi giorni, nel leggere di un paese che non è solo di santi, poeti e navigatori ma, come da tradizione, anche di linguisti. Esiste già l’ottimo sunto di Michele Cortelazzo, http://cortmic.myblog.it/petaloso/, che propongo come lettura a tutti, ma soprattutto a quelli accecati dal fuoco sacro dell’OravadoeglienedicodueallaCusca.

- «La Crusca inserisce ‘petaloso’ nel vocabolario». FALSO: la Crusca ha risposto alla lettera di un bambino che, su proposta della sua maestra, ha scritto all’istituzione, rilevando che il termine era ben formato e che se le persone si mettessero a usarlo davvero potrebbe avere una possibilità di entrare in un vocabolario. UNO, non il NOSTRO, dato che la Crusca non svolge attività lessicografica dal 1923. Cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/…/parola-petaloso-possib…

- «Che maestra ignorante, ha avallato l’errore del suo allievo, signoramia dove andremo a finire!» FALSO. La maestra ha segnato “errore” l’errore, ma l’ha definito “errore bello”, perché effettivamente conteneva un guizzo di inventiva. Aggiungo anche una cosa: ben vengano le maestre che si prendono la briga di far scrivere alla Crusca, considerata la situazione in cui lavora il corpo insegnanti in Italia. Questa è una maestra appassionata a quello che fa, e non è una cosa così comune. Cfr. http://iltirreno.gelocal.it/…/derivati…/detail_558/image.jpg

- «La parola ‘petaloso’ esisteva già, la si trova in un trattato di botanica di fine Seicento, scritto in latino, Matteo non ha inventato niente». IN PARTE FALSO: il fatto che una parola sia già stata usata, nella storia di una lingua (in questo caso, nella lingua da cui poi è derivato l’italiano), senza però rimanere nell’uso, non è così strano e non inficia l’invenzione di Matteo. Sicuramente il bambino non ha consultato il trattato di botanica IN LATINO di fine Seicento… non è un plagio. In compenso, se la parola è già “capitata” due volte, nella nostra lingua (altri citano Serra e un Sanremo di qualche decennio fa), può voler dire due cose diverse: o che non serva davvero (nessuna delle volte precedenti si è stabilizzata nell’italiano) o che possa essere la volta buona perché entri nell’uso (in fondo, ha già una storia, non è un vero e proprio occasionalismo). Cfr. http://informare.over-blog.it/…/fine-senza-gloria-della-fav…

- «La parola esiste già in inglese ed è PETALOUS, Matteo non ha inventato niente 2, La Vendetta». Una parola desueta, cioè pochissimo usata, e davvero qualcuno sta accusando Matteo di avere fatto una pedissequa traduzione dall’albionico idioma? Come al punto sopra, il fatto che esista lo stesso aggettivo in un’altra lingua casomai rafforza l’idea che la parola possa servire. Le lingue, a volte, hanno meccanismi di formazione simili, che possono viaggiare in parallelo. Non una lingua che copia dall’altra, ma due lingue che creano per necessità o per caso parole con gli stessi metodi. Cfr. http://www.merriam-webster.com/dictionary/petalous

- «Questi bambini di oggi, drogati di televisione: il bambino avrà sentito Banderas e il suo “inzupposo”» Non è detto: il suffisso -oso piace non solo ai pubblicitari ma anche ai bambini, perché permette di formare parole “buffe”. Per mia figlia io sono “abbracciosa”, da piccola diceva che il suo letto era “sonnoso”… tutta ordinaria amministrazione, insomma; per una volta non serve nemmeno scomodare i mezzi di comunicazione di massa.

- «Il tono della lettera di risposta della Crusca era tutto sbagliato: come ci si fa a rivolgere a una maestra in quel modo mieloso e paternalistico?» Se ti fossi informato, avresti scoperto che a) la lettera è stata scritta da Matteo, nella sua calligrafia di terza elementare e b) di conseguenza la risposta era indirizzata a lui, non alla maestra. La competenza linguistica richiede che ci si adegui, nello stile, all’interlocutore, che è ciò che la linguista ha fatto. MA ALLORA DOVE STA QUESTA LETTERA? Non si è vista tanto in giro perché la Crusca non ha voluto divulgarla, per questioni di riservatezza. Ma sa lì in sede, bella protocollata.

 - «Non ha inventato niente, il bambino: ha solo aggiunto il suffisso – oso a una parola». Ehi, ho una notizia per te: sai che uno dei modi di creare parole nuove è la suffissazione, come per telefono > telefonino? Cfr. http://www.treccani.it/…/morfologia_(Enciclopedia_dell’Ita…/ (punto 4.3)

- «Perché petaloso sì, e l’inzupposo di Banderas no?» Già, perché? In pubblicità si inventano continuamente parole nuove, che però di norma non rimangono nel lessico. E sai perché? Perché LE PERSONE NON LE USANO. Ecco svelato l’arcano. Se le persone non la usano, la parola a un certo punto “muore”. Cfr. un esempio in http://www.accademiadellacrusca.it/…/aggettivo-molte-perple…

- «Che ignoranti, non sanno neanche che la margherita non ha petali ma LIGULE!» – Cari botanic-nazi, a parte che non è detto che non fossimo in possesso di questa informazione, Matteo non pensava di creare un nuovo termine del linguaggio specialistico della botanica, ma una parola della lingua comune. E nella vulgata siamo tutti d’accordo che PETALO è decisamente più diffuso di LIGULA? I non-linguisti definiscono “parole” quelle in neretto nel vocabolario, i linguisti le chiamano LEMMI. Lingua comune vs. linguaggio specialistico. Funziona così per tutti i settori. Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/ligula/

- «Non è giusto, allora inserite anche ‘supercazzola’». Premesso che non dipende dalla Crusca, ‘supercazzola’ c’è già, nello Zingarelli. Cfr. http://www.ansa.it/…/nello-zingarelli-2016-entrano-supercaz…

- «Che vergogna, la Crusca che perde tempo in queste vaccate». La Crusca, tra le sue attività, ha la consulenza linguistica. Risponde indiscriminatamente, senza distinzioni anagrafiche o di censo, alla maggior parte delle domande che arrivano, esclusi i troll – che esistono, eccome – e comunque in base alla forza-lavoro disponibile, che non è enorme. Se la Crusca non ha risposto alla tua richiesta, fidati, non è un fatto personale: magari, semplicemente, gnafà. Cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/it/laccademia

- «Tutta la vicenda è una montatura di marketing» AHAHAHAH fidati che non lo è, è una cosa molto più semplice: si chiama “viralità” ed è un effetto difficile da ottenere in maniera forzata. A volte succede e basta. Anche la “curva d’odio” è fisiologica: al terzo giorno, ogni tormentone ha ampiamente scassato i cabasisi. E infatti, anche questa tormenta di ‘petalosi’ si calmerà presto. Cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/…/…/proposito-virale-meme

- «Allora adesso che è stata così tanto usata come hashtag, la parola entrerà nel dizionario?» NO, non basta che sia stata hashtaggatissima per due giorni, perché questo era un uso metalinguistico, non reale. Occorrerebbe, casomai, che la parola venisse usata in maniera non connotata in contesti “naturali”, come scrive Torchia nella lettera della Crusca: se le persone iniziassero a dire “ma guarda che fiore petaloso!” normalmente, allora potrebbe anche succedere. su “hashtag” cfr. http://www.accademiadellacrusca.it/…/lingua-italiana/parole…

- «Orrore e raccapriccio, la lingua italiana sta morendo e voi della Crusca ne siete gli affaffini» CERTO VIRGOLA CERTO. Ti svelo qualche altro retroscena gustoso: 1) se in una lingua si inventano nuove parole, è un segno di salute: vuol dire che quella lingua è viva e vegeta e sta piuttosto bene. 2) I veri assassini di una lingua sono, casomai, i suoi parlanti. Come dice De Mauro, l’italiano sta bene, gli italiani decisamente meno. Quindi, come dire, rispediamo l’offesa al mittente e ti consigliamo, casomai, di studiare per evitare di scrivere AVVOLTE per A VOLTE o DEFICENTE per DEFICIENTE. Cfr. http://nuovoeutile.it/italia_dealfabetizzata/

- «La parola ‘petaloso’ è brutta!» Bah, a me a orecchio pare più brutta “isterosalpingografia” (http://dizionario.internazionale.it/pa…/isterosalpingografia)… e comunque la categoria “bello” non è tra quelle rilevanti per l’ingresso di una nuova parola nell’uso. Una parola entra nell’uso se serve. Soprattutto, un linguista non ragiona in termini di bello o brutto. I dizionari, su questo aspetto, sono neutri, al massimo specificano che un termine è “volgare”, come per VAFFANCULO, che pure nel vocabolario c’è. Cfr. http://dizionario.internazionale.it/parola/vaffanculo

- «Ora basta, smettetela con questa storia di ‘petaloso’!» Guarda, in Crusca hanno già pubblicato una nuova consulenza, il lavoro procede normalmente… l’unico che sta ancora a perdere fiato sulla vicenda sei proprio tu. Facile, passa oltre, e vivi sereno. E magari consulta un po’ di più le schede di consulenza della Crusca, forse ti tornano pure utili: http://www.accademiadellacrusca.it/…/lingua-italiana/consul…

- «La Crusca si è fatta strumentalizzare e ha forzato i meccanismi dell’italiano per fare entrare una parola nel vocabolario» A me sembri più strumentalizzato tu che a) non hai idea di come siano andate le cose; b) non hai idea del fatto che sia impossibile far entrare una parola nel vocabolario a forza e c) non hai idea di che cosa faccia la Crusca oggi. Nel complesso, mi sembrano i tre quarti di un poker di disinformazione.

- «Cara Crusca, io ho inventato pucchiaccoso, caccoso, vaffanculoso, cosa vinco?» Vinci che chi legge il tuo messaggio pensa che tu, nonostante quello che vedo essere il tuo anno di nascita, sia tristemente rimasto alla fase coprolalica. Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/coprolalico/

- «Cara Crusca, mio figlio di tre anni inventa parole a tutto spiano. Che devo fare?» O farlo diventare un mostro iscrivendolo a un talent show, oppure fartene una ragione: i bambini inventano parole continuamente, anche se non per tutte succede questo putiferio che, ripetiamo insieme, è CASUALE. Non è la parola a essere rilevante, in questa vicenda, ma la concatenazione di eventi. No, non hai un figlio supergenio, come non lo è neanche Matteo. Solo un bambino normale. Cfr. http://www.riza.it/…/inventa-le-parole-vuol-dire-che-sta-be…



25/02/16

Bomboloni bianchi al miele -- MTC54



















Il tema di questo MTC54 e' il miele.     Io sono riuscito a produrre del Bomboloni Bianchi al Miele.  Volevo fare dei bomboloni normali, a parte l'uso del miele.   E' uscito tutt'altro, quasi per caso.
In inglese si direbbe "serendipity", nome derivato dalla fiaba persiana "I tre prìncipi di Serendippo".  Questi tre principi "per caso o per sagacia trovavano cose di cui non erano in cerca" (W. S. Lewis in: Horace Walpole's Correspondence).
Vorrei poter dire che la mia sia stata sagacia, ma il colore dei miei bomboloni e' nato quasi per caso.   Anche se quasi.
Veniamo a MTC 54: la sfida di questo mese e' stata lanciata dai vincitori dell'ultima sfida, Eleonora e Michael, del blog Burro e Miele


















Si deve, appunto, partecipare con un cibo nel quale il miele abbia un ruolo importante.
Ora, io non ho praticamente mai usato il miele in cucina.  E non solo: scopro solo adesso che esistono tanti tipi di miele, ognuno piu' adatto degli altri a specifici abbinamenti.
Per me ha fatto testo l'infografica di Dani Pensacuoca, sia subito essa insignita della menzione d'onore A.A.P. (Aiuto Ai Pivelli).







































Si, ma com'e' la storia?

Ho iniziato a documentarmi sui bomboloni.   Pare che il nome italiano derivi da "bomba", a indicare l'aspetto pienotto e il ripieno che in bocca esplode di dolcezza.  
Il nome originale e' Krapfen e indica un dolce fritto nato in Austria.   Nel Nord Italia c'e' chi lo chiama col nome originale.  Personalmente preferisco la dizione "Bombolone".
L'aspetto cicciottello si crea durante la frittura, quando il lievito dell'impasto al contatto col calore dell'olio (sui 180 gradi Celsius, mi dicono) forma anidride carbonica.   E lo fa con entusiasmo, facendo crescere il volume di circa 15 volte.
Il bombolone, una volta fritto, viene fatto rotolare nello zucchero, aggiungendone il dolce al goloso (e peccaminoso, lo vogliamo dire?) sapore di fritto.
Di solito nei post presentati a MTC gli autori tentano di ingraziarsi la giuria puntando sulle emozioni.  Citano mamme, o, molto meglio, nonne, depositarie di ricette di famiglia, trasmesse oralmente alle nuove generazioni.  Citano infanzie sognanti, magari in luoghi romanticamente oggetto di nostalgie struggenti.  Le autrici provano di tutto.
Io, che sono un cuciniere autodidatta, che sono cresciuto in un quartiere operaio, che non ho nostalgie di panorami di sogno, non posso usare tali agganci.
Mi ricordo solo che a Firenze c'era negli anni '50 e '60 una latteria-pasticceria in Via del Corso.   Molto nota e che a meta' pomeriggio, all'ora della merenda, vendeva dei golosissimi bomboloni, fritti al momento.  Erano per noi bimbetti oggetto di forte desiderio.   Cosi' tanto forte che qualcuno, qualche volta, ci piantava anche una bella bizza.
Ma se eravamo stati buoni (e noi non capivamo cosa mai volesse dire essere buoni), allora ci portavano in Via del Corso.  
Il laboratorio di pasticceria era al primo piano e la vendita al pianterreno.
I bomboloni arrivavano dal piano superiore cadendo e rotolando in una tramoggia a vista e finivano in un vassoio colmo di zucchero.
Noi  (io e altri bambini buoni) eravamo li', naso in aria, aspettando che comparisse il prossimo bombolone, lamentandoci col nonno (che era quello deputato ad accompagnarci) che "il nostro" non arrivava mai.
Ma poi, finalmente, eccolo.  Rigirato nello zucchero, appoggiato su un foglietto di carta gialla e messo, bollente, nelle nostre mani.
Allora non ci importava piu' di niente, camminavamo senza vedere o sentire niente, tutti concentrati sul sapore e attenti a non scottarci le labbra.
In quegli anni i bomboloni non erano ripieni, erano solo della pasta fritta gonfia e molto zuccherata.  Ma quanto buona....
Oggi quel negozio non c'e' piu', e' diventato un normale bar per turisti.   Vende pizze al taglio, gelati e bevande gassate.
Ci sono passato davanti giorni fa e, ecco, questa e' la mia nostalgia.

Si, ma la ricetta?

Con quel sapore ancora nei ricordi ho voluto provare a replicare quei bomboloni.
Ho investigato a lungo in Internet, dove, buono o cattivo che sia, si trova di tutto.
Ho compulsato e messo a confronto tante ricette, tutte diverse e tutte simili.    Tanti bomboloni, tutti belli gonfi e dorati.
Per questa sfida 54 ho pensato (sai che originalita') di usare il miele sia nell'impasto che nel ripieno.
Detto fatto, ho iniziato l'opera.
Ma, al solito, tra le mie teorie e la dura realta' c'e' un abisso.
I miei bomboloni non erano abbastanza gonfi, o dentro non cuocevano bene, e altro che non sto a descrivere.    Insoddisfacenti.
Va bene che io sono un noto antagonista dei lieviti, ma, insomma, si doveva migliorare.
Sono allora andato in cerca di qualcuno che i bomboloni li friggesse al momento, sperando di carpire qualche segreto.
In una cittadina vicina, Calenzano, ci sono dei centri di vendita a forte sconto allocati in ex capannoni industriali.  Ci si trova di tutto, dalle scarpe, agli articoli sportivi, agli abiti, ai giocattoli.
E c'e', furbescamente sistemato vicino all'ingresso di uno di questi capannoni, un banchetto che all'ora di merenda frigge e smercia bomboloni giganti.
La scelta del posto e' strategica, perche' i bimbi verso meta' pomeriggio hanno di nuovo fame e non ardono dalla voglia di seguire i genitori nei meandri dei capannoni.
Ecco allora che i genitori prima di entrare mettono nelle mani dei figli dei bei bomboloni bollenti e ottengono di girare tranquilli.
I figli magari all'uscita sono macchiati di unto e bianchi di zucchero, ma quelli li si puo' sempre sgridare dopo, ad acquisti fatti.
Mi sono messo vicino al banchetto, aspettando che cominciassero a friggere e osservando attentamente.
Forse il tipo avra' pensato che volessi rapinarlo o chissa' cos'altro, perche' mentre lavorava mi lanciava spesso degli sguardi di sguincio.
Cos'ho imparato?  Che l'impasto era molto piu' sottile di quello che le ricette di Internet dicevano e che l'olio di frittura era scuro e puzzolente, ma che dorava alla perfezione.
Dopo aver comprato un bombolone, giusto per non passare da molestatore, sono tornato a casa, meditabondo.
Scartato l'uso di olio scuro e puzzolente ho usato il solito olio di arachidi, ma ho ridotto lo spessore dell'impasto da friggere.
Sono venuti fuori dei bomboloni piu' o meno normali, questo si, ma privi di personalita'.
E farciti di miele erano davvero buoni, ma niente di epocale.
Allora mi son detto: vediamo che succede a ridurre ancora lo spessore della pasta.
Ed ecco cosa e' successo...






















Lo spessore davvero piccolo ha fatto si' che il calore arrivasse istantaneamente in tutta la struttura, che si e' gonfiata nel giro di tre secondi.
E, incredibile, cuocendo a perfezione l'impasto senza bisogno di dorarlo.
Ho anche provato a farli dorare, ma la prolungata esposizione dell'impasto al forte calore ne provocava la rottura.
Limitando la cottura a nemmeno mezzo minuto ho ottenuto un palloncino leggerissimo e croccantissimo.
Tolto il palloncino dall'olio con molta attenzione. perche' il limitato spessore li rende facili a incrinarsi, li ho "siringati" con miele d'acacia.   Non li ho rotolati nello zucchero perche' il miele si sentisse bene, senza interferenze.
Vedendo la foto di un bombolone aperto ho realizzato che avrei dovuto usare un miele con un colore piu' scuro, per far contrasto con l'impasto.  E magari anche un piattino con un colore che contrastasse con quelli di impasto e ripieno.
Ma tant'e', per me era sufficiente.
Bomboloni pallidi, ma capaci di far sognare.

Andiamo....

Ingredienti, per 15 bomboloni pallidi
125 g farina 00
125 g farina tipo Manitoba
30 g zucchero
1 cucchiaino di miele di acacia
30 g di burro a temperatura ambiente
3 g lievito in polvere per dolci
125 g di latte a temperatura ambiente
2 g di sale macinato al momento
1 tuorlo d'uovo di gallina, a temperatura ambiente
Buccia grattugiata di mezzo limone, oppure di mezza arancia
30 ml rum bianco

Esecuzione
Nota - Questa esecuzione e' liberamente ispirata a quella descritta da Flavia che ringrazio per l'ispirazione. 
Per prima cosa preparare una specie di lievitino: mescolare le due farine e tasferirne 60 g in una ciotola.   In questa aggiungere il lievito, 15 g di zucchero e tutto il latte.  Mescolare bene, coprire la ciotola e lasciar agire il lievito per una ventina di minuti.
Trascorso questo tempo montare il gancio a uncino in una planetaria,  versarci le farine rimanenti e far andare a bassa velocita' aggiungendo poco per volta il "lievitino".  Dopo circa cinque minuti aumentare la velocita' fino a oltre meta' e aggiungere il cucchiaino di miele, il resto dello zucchero, il rum, il tuorlo d'uovo e il pizzico di sale.
Far andare per cinque minuti, piu' o meno.   L'impasto dovrebbe a questo punto essere ben incordato e attaccato al gancio.  Ora unire il burro poco per volta e far amalgamare bene.
Staccare l'impasto dal gancio e trasferirlo in una ciotola, coprire con pellicola e lasciarlo riposare per una trentina di minuti.
Al termine trasferire la ciotola in frigo per circa 12 ore.
Al momento di friggere, intanto che l'olio si scalda (io ho usato un olio di semi di arachidi) stendere la pasta fino a uno spessore minimo, quasi trasparaente.   Non ho misurato lo spessore con un calibro, ma non arrivava a 2 mm.
Con un coppapasta da 7 cm, o con un bicchiere, tagliate dei dischi di pasta e, delicatamente e senza maneggiarli troppo, fate scivolare i dischi nell'olio caldo.   Gli esperti dicono che la temperatura dell'olio dovrebbe restare costante tra i 170 e i 180 gradi Celsius per tutto il tempo della frittura.
Io ho usato una padella  piccola e con i bordi alti, in modo che l'olio fosse alto un 4 o 5 cm.
Friggere un disco alla volta.
Appena la pasta entra nell'olio, miracolo!!, si gonfia come un pallone.   Far friggere per un minuto per lato, o anche meno.
Lo spessore della pasta da friggere e' cosi' piccolo che bastano letteralmente pochi secondi.
Diciamo che se il palloncino che si e' formato comincia a colorire vuol dire che e' troppo cotto e sicuramente si frantumera' appena lo si tocca.
Trasferire il bombolone pallido su carta assorbente, maneggiandolo con delicatezza.   E anche dopo aspettate che sia quasi freddo, se lo spostare o lo saggiate con un dito sicuramente si rompera'.
Per dire, io il primo bombolone l'ho proprio bucato con un dito mentre lo prendevo.
Una vera e propria "nuvola di bombolone".   Anzi, forse avrei dovuto chiamarla cosi', ma mi sembrava troppo pretenzioso.
Prima di friggere si sara' scaldato per pochi secondi nel microonde il miele, in modo da trasferirlo in una siringa da pasticcere e, successivamente, spremerlo nei bomboloni.
Fino a qui e' stato facile, ora viene il difficile: con la siringa trasferire una buona quantita' di miele dentro il bombolone senza che questo si rompa.
La difficolta' avra' il suo premio quando queste nuvole di bomboloni saranno assaggiate.
Qua sotto ho aperto un bombolone per far vedere il limitato spessore dell'impasto e l'enorme cupola che si e' formata e dalla quale sta colando il miele.



















All'assaggio si e' stupiti dalla leggerezza e al contempo dalla croccantezza del bombolone.
Al primo morso gia' il miele iniziera' a colare.   Un vero incanto.
Il sapore di pasta fritta si sente bene e non e' sovrastato dall'estrema dolcezza del miele, che semmai lo completa.
Un bombolone saporito ed etereo, una vera nuvola di piacere.
Provate.

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19/02/16

Tortino di cardi al miele e crema di formaggio di pecora -- MTC54

















Il tema di questo MTC54 e' il miele.  Io mi sono inventato un Tortino di cardi al miele e crema di formaggio di pecora.   Buonissimo.



















(Avvertenza: alcune foto sono state prese dalla Rete.  Ove possibile ho citato la fonte.  In caso di contestazione rimuovero')

La sfida di questo mese e' stata lanciata dai vincitori dell'ultima sfida, Eleonora e Michael, del blog Burro e Miele
Quando, come in questa sfida, il tema non e' una ricetta, ma un ingrediente, le cose si fanno difficili.   O ci si attiene a ricette tradizionali, interpretandole con licenze piu' o meno sfacciate, o invece ci si butta nell'improvvisazione.
Io ho cercato in Internet per vedere se la mia idea fosse gia' stata realizzata e fosse nota, il che l'avrebbe spostata nella categoria "tradizionali".
Non trovando niente mi sono buttato sulla sperimentazione.
Se il miele e' dolce, ho pensato, o lo si aggiunge a una preparazione gia' dolce di suo, oppure si va in cerca di un contrasto, abbinandolo a qualcosa di amaro.
Ho scelto questa seconda possibilita' e ho pensato a dei cardi.
Amarognoli, ma non amari come il carciofo.   Ho pensato, si, che nella vita i contrasti vanno bene, ma ci vuole anche equilibrio.



Generalita' sui cardi



















Oltre che per il sapore amarognolo, dovuto all'alto contenuto di ferro, i cardi sono noti per le spine, davvero pungenti e molto robuste.  Nei secoli scorsi i bulbi dei fiori venivano fatti seccare al sole, aumentando cosi' la durezza delle spine.




















Fonte: Di Didier Descouens - Opera propria, CC BY-SA 4.0, QUI

Il bulbo cosi' seccato veniva usato per districare le fibre della lana e renderle parallele, prima di filarle.   Da secoli l'operazione e' detta cardatura.  Oggi e' fatta a macchina, ma allora si utilizzavano, appunto, i cardi.
La cardatura era nota anche come scardassatura, da cui il nome di una strada tra Firenze e Prato (nota per la tessitura della lana), Via degli Scardassieri. 
Non sono sicuro, ma altre vie di citta' italiane avranno nomi simili, a ricordare la cardatura e gli operai addetti.

Una curiosita': per quanto spinosi i fiori dei cardi sono molto apprezzati dagli asini, che li divorano, spine e tutto, con golosita'.

E ancora: il fiore di cardo e' il simbolo della Scozia.  Si narra che un gruppo di guerrieri scozzesi, che si erano addormentati durante la guardia notturna, riuscirono a evitare l'imboscata dell'esercito norvegese perché uno dei nemici calpestò una pianta spinosa.
Le grida di dolore, e le conseguenti bestemmie in norreno, causarono il risveglo dei guerrieri scozzesi che alla fine respinsero gli invasori.
Il fiore di cardo fu poi adottato come simbolo nazionale, ed e' un simbolo importante dell'araldica scozzese da oltre 500 anni. Rappresenta anche una delle più alte onorificenze che il Paese può assegnare a un individuo. Fondato da Giacomo III nel 1687, il Molto Reverendo Ordine del Cardo è un ordine cavalleresco conferito a coloro che hanno offerto un contributo importante alla vita della Scozia e del Regno Unito.
Solo Sua Maestà la Regina può investire qualcuno dell'Ordine del Cardo, un'onoreficenza seconda per importanza solo a quella dell'Ordine della Giarrettiera.
Il motto latino dell'Ordine del Cardo e' NEMO ME IMPUNE LACESSIT, ossia nessuno mi attacca impunemente.
(dal sito visitscotland.com)

I perche' della ricetta

Il cardo e' stato scelto perche' col suo sapore amarognolo (dovuto all'alto contenuto di ferro) contrastasse bene con l'esuberanza di dolce del miele.
Premetto che col miele non ho molta dimestichezza, sara' perche' mi trovo piu' a mio agio con gli ingredienti salati.  Se ricordo bene tra tutte le ricette che ho pubblicato in questo blog ho adoperato il miele solo una volta, per un Dessert Afrodisiaco, QUI
Ma questa e' un'altra storia.
Come tipo di miele ho scelto quello ottenuto da fiori di timo, in modo da dare un risultato profumato.  In piu', dopo la cottura i cardi sono stati cosparsi di foglioline di timo fresco, per esaltare ulteriormente il profumo.
Per dare cremosita' al risultato si sono usate fette sottilissime di formaggio pecorino, in modo che si sciogliessero in cottura. 
La cremosita' serve anche per formare un contrasto con la durezza naturale dei cardi.
Per mitigare quella naturale durezza i cardi sono stati preventivamente cotti in acqua bollente, acidulata con succo di limone per prevenire l'ossidazione e il conseguente annerimento.
Si e' scelto di produrre un tortino, con strati alternati di cardi, miele e formaggio; e di cuocere tutto in forno.
La teglia e' stata oliata, non imburrata, e cosparsa con pane grattato, non con farina.  Questa scelta aveva come obiettivo di limitare i grassi e anche di evitare che questi imbibissero la farina.  Il pane grattato in forno si abbronzera', aggiungendo un gradevole sapore di tostatura.


Ingredienti per 4 persone
2 cardi giovani, non troppo grandi
5 cucchiai da cucina di miele da fiori di timo
100 g di formaggio pecorino stagionato non piu' di tre mesi
2 limoni
Olio e pane grattato per preparare la teglia da forno
Un pizzico di foglioline di timo fresco

Esecuzione
Scegliere cardi giovani e non troppo grandi. Ecco qua sotto un esempio
























Separare i gambi e togliere foglie e spine. Poiche' le spine, oltre che pungenti, sono dure e ben annidate tra gambo e foglie e' opportuno pulire i gambi con un coltello.   Infine togliere con pazienza i fili, proprio come si fa con i sedani.



















In una pentola capiente versare abbondante acqua e acidificarla col succo di due limoni.  Inoltre aggiungere le due meta' di uno dei due limoni, cosi' da aggiungere anche il profumo della scorza.   Salare l'acqua senza timidezza.


















Tagliare i gambi a misura della teglia e aggiungerli nella pentola. Portare a bollore e far bollire per circa trenta minuti.   Avrei dovuto aggiungere "o finche' i cardi saranno teneri", ma inutile farsi illusioni.  I cardi duri sono e duri resteranno.
















Mentre i cardi sono in pentola preparare la teglia per il forno, ungendo fondo e pareti con olio e cospargendo con pane grattato.


















Tagliare anche il formaggio a fette molto sottili, quasi trasparenti.  Scolare i cardi e asciugarli al meglio.  
Versare il miele in un piattino.  Se apparisse duro e poco malleabile scaldarlo qualche secondo nel microonde.
Fare un primo strato di cardi sul fondo della teglia e spennellare abbondantemente col miele reso fluido.
Coprire con le fettine di formaggio.
Formare altri strati, cosi' composti, fino a fine dei gambi.
A questo punto si doveva decidere cosa aggiungere sopra l'ultimo strato.  Si sarebbe potuto, ad esempio, cospargere di pane grattato e magari versarci sopra un filo d'olio.
Io ho optato per non aggiungere niente, ma le prossime volte aggiungero' pane grattato e filo d'olio, penso che il tutto sara' piu' saporito.   E si evitera' di vedere parti bruciacchiate e non.
Per carita', il risultato e' buonissimo in bocca, ma non esaltante agli occhi.  Quasi un peccato mortale per una partecipazione a un contest.
Pazienza, sia quel che sia.   Personalmente sono contento anche cosi'.

















All'uscita dal forno cospargere la teglia con le foglioline di timo fresco.   Servire caldissimo.
All'assaggio i cardi si presentano ancora belli croccanti.   Il miele si sente, ma senza prevalere.   L'equilibrio tra dolce ed amaro mi e' risultato perfetto.
In sottofondo si percepisce l'acidulo del limone usato nella bollitura, acidulo che e' penetrato nel corpo dei gambi.  Si sente, ma non disturba.
E, nonostante si sia ancora in inverno, che e' stagione di raccolta dei cardi, il profumo di timo ci trasporta nel sole mediterraneo.
Sono davvero contento degli equilibri tra tutti gli ingredienti e dei contrasti risultanti.   Molto bene.

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03/02/16

Settimana del Maiale - 35 ricette per il Calendario del Cibo Italiano


Come sapra' chi partecipa al Calendario del Cibo Italiano di AIFB nel corso di Gennaio 2016 e' andata in onda la Settimana del Maiale.



















Sono stato nominato "coordinatore" dei contributi dei food blogger partecipanti e devo dire che questo coordinamento e' stato piuttosto divertente. 
Io, per esempio, nella corrispondenza con le partecipanti ero il "Maiale capo" e loro le "Maialine".
In chat il saluto non era "Ciao",  ma  "Oink, oink".
Siamo fatti cosi'.
Qui di seguito trovate il mio articolo introduttivo alla Settimana del Maiale, corredato dai link alle 34 ricette partecipanti.
Tante ricette, davvero.   Porgo un sentito ringraziamento alle mie "maialine".


(Tutte le foto sono prese dal web. Ho controllato per quanto possibile che siano libere da copyright, ma, nel caso, posso provvedere a rimuoverle)


Si fa presto a dire maiale.  C'è così tanto da dire che dovrò scegliere gli argomenti: né troppo banali, né troppo originali.
I maiali sono con noi da più di 7.000 anni, quando gli umani cessarono di essere nomadi e si fermarono stabilmente.   I maiali infatti sono stanziali, nel senso che non sono capaci di spostarsi  lontano per cercare il cibo. 
Gli umani da allora stabilirono con loro un accordo: “Io, l'umano, ti tengo vicino a me e ti nutro.  Onnivoro come sei non mi sarai di gran peso.  Quando sarai adulto e ingrassato ti ucciderò e sarai tu a dare cibo a me”.
Non proprio equo come accordo, ma così è.
E non solo il maiale è trattato come fonte di cibo, ma è anche oggetto di una pessima reputazione.  Sporco, puzzolente, sensuale, e chi più ne ha più ne metta.
Dante Alighieri, nell'Inferno, li porta a termine di paragone “Quanti si tegnon or là sù gran regi / che qui staranno come porci in brago” dove il brago è la melma della palude dello Stige.   (Alighieri, Dante, Commedia, Inf.VII,49-50: la similitudine si riferisce all'arroganza che è una delle caratteristiche dell'ira di Filippo Argenti).
E' pur vero che i maiali si rotolano nel fango, ma non lo fanno per amor dello sporco, bensì per proteggere la pelle da parassiti vari e, curiosamente, dal sole.  Infatti, specie i maiali di color rosa, hanno la pelle sensibilissima e non sopportano il calore dei raggi solari.  Ben lo sanno quei contadini che in estate annaffiano spesso i loro maiali. 
Altra ingiustizia: i maiali sono sensuali e vogliono riprodursi, come tutti gli esseri in natura, ma sono da sempre marchiati come “bestie lussuriose”, tanto da usarli nei detti popolari, come “ Non è il Maiale che diventa vecchio, è il vecchio che diventa Maiale”.
(Proverbio piemontese, in dialetto, "A l’é nen ël crin che a ven vèj, ma ‘l vèj che a ven crin").
I maiali sono molto intelligenti, si addomesticano facilmente, fino a diventare animali da compagnia, affezionandosi ai loro umani.  Qui un breve video di esempio

Mia suocera, parliamo di circa sessanta anni fa, in Maremma, era di famiglia contadina, dove tutti dovevano contribuire lavorando la campagna.  Anche lei lavorava un campicello tutto suo, lontano un paio di chilometri dal paese. 
Il maiale di casa, battezzato Ronchetto, le si era affezionato, ricambiato, e l'accompagnava al campo. Aspettava che finisse di lavorare e la riaccompagnava.  Lungo la strada col suo grugno razzolava in cerca di cibo, si soffermava a mangiare e poi raggiungeva mia suocera a piccolo trotto.  Arrivati al campo Ronchetto si sdraiava all'ombra e sonnecchiava, oppure tentava di mangiare quello che il campo stava producendo, scacciato affettuosamente da mia suocera.
Quando verso la fine dell'anno arrivò il momento per la famiglia di macellare Ronchetto mia suocera si allontanò piangendo da casa e tornò a notte inoltrata, nemmeno volendo, i giorni successivi, partecipare alla preparazione dei pezzi di maiale per la conservazione.


Della stessa famiglia del maiale sono i cinghiali, versione selvatica del maiale.  Il cinghiale è zannuto, potente, aggressivo se minacciato.   Ma anch'esso, se allevato sin da piccolo in compagnia di umani, si dimostra un cucciolone, vedere questo video
Siccome maiali e cinghiali sono della stessa famiglia a volte qualche maiale in libertà si accoppia con qualche cinghiale trovato nel bosco e i piccoli nascono spesso con doppia colorazione




I maiali non sono solo rosa, come raffigurati nell'immaginario collettivo, ci sono razze pezzate o variamente colorate.  Come la Mora Romagnola, che, tra l'altro, ha dei simpatici occhi a mandorla. 




















Altra colorazione tipica è quella  della Cinta Senese, con la caratteristica cintura (cinta) bianca.


Ci sono maiali praticamente neri, come i vietnamiti.  Detti anche “Pancia a tazza”, e se ne capisce il motivo....




















E ci sono poi maiali con setole molto sviluppate, tanto da sembrare riccioluti, come nella razza Mangalica.

  























Ma, come i salmi che finiscono tutti in gloria, arriviamo all'aspetto alimentare: il maiale è sempre stato un simbolo di abbondanza e prosperità,  perché costituiva il sostentamento annuo della famiglia.   Nelle famiglie il maiale veniva allevato e lasciato ingrassare, a formare quella riserva di carne che metteva al riparo da carestie o magri raccolti.   Il maiale è onnivoro, si ciba anche di scarti e ingrassa senza problemi, circa mezzo chilogrammo ogni giorno.
Tenere un maiale era come mettere da parte un piccolo capitale, che veniva poi riscosso in inverno, macellando e conservando i vari pezzi.   Era come avere un salvadanaio.  E non a caso i salvadanai che ancora vediamo in giro sono a forma di maialino.
IIn provincia di Modena, a Castelnuovo Rangone, al maiale hanno anche eretto un monumento, a celebrare quella che era una risorsa importante per gli abitanti.   Nella foto sottostante è mostrata la “sfilata dei maiali”, che, guidati dal padrone, andavano senza saperlo in direzione del macello e quindi dei tanti salumifici della zona.   Foto scattata intorno al 1930.


















Il monumento odierno è stato sistemato nella stessa piazza della foto del 1930 ed è orientato nella stessa direzione che prendevano i maiali nella “sfilata”. 


Una curiosita': in Italia il bilancio tra nascite e morti di maiali ci dice che ne stiamo allevando circa 8 milioni.  Ma ne consumiamo piu' del doppio, tanto che siamo costretti a comprarli all'estero.

Cosa si può ricavare da un maiale sul quintale?    In una parola: tutto.




Personalmente non vorrei mai assistere alla macellazione di un qualsiasi animale, figuriamoci poi di queste simpatiche bestie.  Preferisco trovare i tagli già pronti, il che mi porta alla considerazione che il maiale è olistico, perché non è la somma dei suoi tagli, ma molto di più.
In ultimo parliamo del maiale dal punto di vista nutrizionale.  Con la selezione, le tecniche di allevamento e l’alimentazione (da onnivoro è divenuto un vegetariano stretto) il maiale ha un ridottissimo contenuto di colesterolo e di acidi grassi saturi.
La carne di maiale, una volta liberata dalle parti grasse, è tenera e digeribilissima, più di quella vaccina.  
Tradizionalmente va cotta “al rosa”, ossia non troppo, in modo da conservare all'interno i saporosi succhi e risultare tenerissima.


Ecco i link alle 34 ricette delle partecipanti.  Ho aggiunto anche una mia ricetta, e' la 35.ma.


Rosaria Orrù: Costine al miele 

Sonia Nieri Turini: Quando il maiale veniva cotto nell’acqua 

Sara Sguerri: Arrosto di Maiale Ripieno di Porri, Salsiccia e Noci

Patrizia Malomo: Filetto alla salvia ed uva bianca e nera 

Fabiola Pulieri: Filetto di maiale con cipolline e castagne

Silvia Leoncini: Due ricette con la birra per un filetto di maiale eccezionale

Cristiana Di Paola: Lonza di maiale agli agrumi 

Anna Laura Mattesini: Lonza di maiale al gin con scaglie di Parmigiano Reggiano e tartufo estivo

Marina Bogdanovic: Stinco alla birra scura e arancia candita

Antonella Eberlin: Maiale in crosta

Anna Maria Pellegrino: Stinco di maiale marinato alla birra e glassato

Sabrina Fattorini: Il maiale di Cinta Senese

Aurelia Bartoletti: I fegatelli di maiale

Alessandra Gennaro: Quel che resta del porco

Silvia Leoncini: Ola nel Forno a Legna

Silvia Leoncini: Sancrau coi Salamini alla Maniera alessandrina

Stephanie Cabibbo: Lonza di Maiale in Salsa di Noci

Anna Laura Mattesini: Arista di Maiale al Latte

Anna Laura Mattesini: Sanguinaccio

Manuela Valentini, Stinco di Maiale Glassato al Miele

Elena Tordi: Salsicce e Costine

Giulietta Bodrito: Ragù di Maiale in Bianco

Silvia Leoncini: Cassoeula nel forno a legna

Flavia Galasso: Arrosto di Maiale al Nero d’Avola

Sabrina Tocchio: Filetto di Maiale con Senape, Ananas e Riduzione di Marsala

Valentina De Felice: Arrosto di Maiale ai Fichi in Crosta di Pane

Silvia Leoncini, Arista Arrosto con Patate, Limone e Timo

Silvia Leoncini: Salam d’la Duja

Aurelia Bartoletti: Medaglioni di Maiale in Crosta di Nocciole e Patate Duchessa

Elena Broglia: Pesto di Lardo

Francesca Carloni: Lonza di Maiale Ripiena

Anna Laura Mattesini: Costine di Maiale in Brodetto

Cristina Galliti: Arista Sott’Olio

Claudia Primavera: Spezzatino di Maiale ai Sapori del Bosco

Corrado Tumminelli: Filetto di maiale al Cren, laccato alla Mostarda di frutta 

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