26/04/14
Palloso festival
PREMESSA: sono verboso.
Questo mese, per l'MTC num. 38, a tema frattaglie, si e' visto di tutto.
E di piu': signore che avrebbero schifato cucinare frattaglie, ma con il pungolo di voler partecipare all'MTC, si sono buttate in avventurose ricerche della materia prima (anche destando qualche stupore in certi macellai, che ormai macellai non sono piu'), poi compulsando libri sull'argomento, sovraccaricando Internet, sfogliando riviste modaiole (perche' le frattaglie in certi ristoranti con qualche pretesa sono ormai un must) e infine stressando i neuroni (con tutta la determinazione delle donne che vogliono a tutti i costi ottenere qualcosa) per preparare e proporre un piatto originale.
Ad oggi mi sembra che l'unica frattaglia non ancora utilizzata sia stato il diaframma di mucca, ma al termine dell'MTC di questo mese mancano ancora due giorni e quindi.....
Indubbiamente per aumentare la creativita' in cucina MTC sta facendo moltissimo e se esistesse un premio al riguardo una certa superimpegnata signora sicuramente se lo meriterebbe.
Anche se io non sono una signora, e non avendo la determinazione di cui sopra (sono invece assai pigro), ho raccolto la sfida ad essere creativo.
Ho gia' prodotto due ricette, QUI e soprattutto QUI ed ecco adesso la terza, per la quale ho scelto gli attributi di vitello.
O, meglio, di un "fu" vitelllo.
Dato il notevole contenuto di testosterone sarebbero anche un aiuto alla virilita', ma solo se mangiati crudi. Per chi non li avesse mai visti al naturale si presentano cosi', una volta estratti dallo scroto....
Pare che il consumo dei testicoli crudi piu' noto, e sicuramente il piu' riportato dalle cronache, sia stato quello del 1700 a Granada.
Era tradizione che per la festa di S. Cecilio una certa abbazia di Granada offrisse un banchetto a base di selvaggina.
Ma capito' che dei ladri rubassero nottetempo tutta la selvaggina in attesa di essere cucinata, lasciando al mattino dopo il primo religioso che entro' in dispensa con la bocca aperta e con il cervello in confusione.
Per rimediare il religioso allora si ricordo' di aver letto nel De Medicamentis Liber, di tale Marcello Empirico, una ricetta che per aumentare le energie e risollevare, diciamo cosi', l'animo, proponeva di mangiare per tre giorni di seguito testicoli bovini conditi con miele e olio d'oliva.
Ignoro se fosse proprio questo il piatto che venne servito al banchetto, ma nel caso mi sarebbe piaciuto essere presente per vedere le facce di chi si vedette servire cotanta preparazione.
Chi fosse interessato a Marcello Empirico, vissuto ai tempi dell'imperatore Teodosio, e curioso e multiforme personaggio, consulti Wikipedia, QUI
Tornando a Granada e' da notare che le frattaglie continuano a piacere, esiste tuttora una ricetta tipica detta "Tortilla di Sacromonte", dall'omonimo quartiere grenadiño: in un soffritto di cipolle, carote, alloro e midollo si fanno saltare del cervello e dei testicoli di agnello, li si ricoprono con uova sbattute e si produce infine una saporita e calorica frittata. Ricetta in lingua originale QUI
Nota per Fabiana relativamente a "sarcophage": giorni fa pensavo di postare un testicolo intero in un sarcophage di frolla. Avevo gia' scartato l'uso dei vol-au-vent perche' non mi e' proprio riuscito di farli ellittici, secondo il contorno dei testicoloni. A me i vol-au-vent, per motivi inspiegabili, vengono tutti storti e sformati.
Allora avevo pensato a un rivestimento parziale con della frolla, che con la sua dolcezza avrebbe controbilanciato l'acidulo della materia prima. Si, ma come precuocere il testicolone, prima di fasciarlo con la frolla e infornarlo?
Pensa e ripensa alla fine ho lasciato perdere l'idea del sarcophage e ho deciso di preparare i testicoloni in tre modi diversi e presentarli insieme.
Fine nota.
Ecco quindi a voi il "Palloso Festival".
I testicoloni li ho approvvigionati dal mio spacciatore di fiducia, al mercato centrale di San Lorenzo, a Firenze. Lui ha un banco di sole frattaglie ed e' luogo preferito di acquisto per molti ristoranti fiorentini. Mentre ero li' ho sentito un ordine telefonico di qualche chilo di diaframma di mucca e volevo quasi chiedere chi aveva fatto l'ordine....
Ho comprato anche un paio di chili di trippa mista (cuffia e centopelle) per fare della trippa alla fiorentina come Dio comanda, cotta per 2 ore. Comprata per per un paio di chili perche' ne avevo promesso un po' a degli amici. Ho poi usato un padellone da 60 cm che uso per le grandi occasioni e la trippa e' venuta benissimo.
Nota per gli stranieri (i non fiorentini): la trippa alla fiorentina e' piu' buona passate le 24 ore dalla cottura. E il parmigiano va messo, a valanga, al momento di servire.
Fine nota.
I testicoloni e' meglio spellarli prima della sbollentatura, perche' dopo la pelle diventa dura ed e' piu' difficoltoso toglierla.
Quindi si sbollentano, ma non troppo, bastano 10 minuti, cosi' restano piu' teneri.
Per preparare il festival ne ho tagliato meta' a stracceti e meta' a spicchi.
Durante la sbollentatura e la successiva scolatura in cucina si e' spanto un forte odore, tipico, e mia moglie e' fuggita, schifata. Poi ha preteso e ottenuto che le fasi successive, cioe' il taglio e lo spurgo dei restanti liquidi interni su cartapaglia, avvenissero fuori in terrazza.
Ingredienti per 2 persone (ma mia moglie ha rifiutato ogni assaggio)
Prima preparazione: Testicoli in rosso, ardenti
Servono 2 peperoni rossi belli maturi e del peperoncino calabrese essiccato. Pulire i peperoni, tagliarli a pezzettoni e cuocerli a vapore, cosi' conservano tutto la loro peperonita'. Scolarli e passarli al minipimer con una bella presa di sale e un pezzetto di peperoncino calabrese a cui si saranno tolti i semi. Frullare ad oltranza.
Prendere mezzo testicolo e tagliarlo a spicchi.
Mettere il frullato in una casseruolina insieme agli spicchi e far bollire a fuoco medio per un quarto d'ora. Il frullato di peperoni impregnera' gli spicchi. Servire in coppetta, nappando con un po' di frullato.
All'assaggio si sente l'amarognolo dei peperoni che contrasta il dolce-acidulo degli spicchi, mentre il piccante arriva dopo. Accompagnare con spicchi di cetriolo ben freddo, cosi' c'e' anche il contrasto caldo-freddo.
Seconda preparazione: Testicoli al mais.
Serve solo della farina di mais. Tagliare mezzo testicolo a stracci spessi mezzo cm. passare gli stracci nella farina di mais e friggerli brevemente in olio profondo. Non piu' di un minuto, altrimenti diventano secchi.
All'uscita dalla padella far cadere gli stracci nella farina di mais e spolverarli con altra farina di mais. Caldi come sono di frittura agli straccetti aderira' una piccola crosta di farina. Maneggiarli il meno possibile, perche' la crosticina e' fragile, accomodarli in una coppetta e macinarci sopra un poco di sale. Regolare il mulinello per del macinato piuttosto grosso. All'assaggio il croccantino della crosta di mais e del sale macinato contrastano con la tenerezza dell'interno. Accompagnare con mirtilli freschi, il cui dolcino ben si accoppia con il lieve acidulo dell'interno del fritto.
Terza preparazione: Testicoli caramellati al sale e paprika dolce
Tagliare il resto dei testicoli a spicchi. Preparare con abbondante zucchero, una bella presa di sale e acqua un quasi-caramello, ossia una via di mezzo tra uno sciroppo denso e un vero e proprio caramello.
Aggiungere gli spicchi e girarli nel caramello per un paio di minuti, cospargendo verso la fine con paprika dolce. Fatto cio' toglierli e spolverarli subito con poco zucchero, per brinarli.
Prima che siano freddi accomodarli in una coppetta e accompagnarli con delle more fresche, ma piuttosto asprigne.
All'assaggio l'acidulo dell'interno e' controbilanciato dal caramello salato esterno, anche aromatizzato di paprika. L'asprigno succoso delle more completa perfettamente l'insieme.
A me e' piaciuta di piu' la versione caramellata alla paprika dolce con le more, ma dipendi dai gusti.
Servire un vassoio per persona, con tutte le componenti. Il commensale pilucchera' secondo i suoi gusti, provando vari abbinamenti e successioni.
Per gli amanti del quinto quarto e' un vero festival.
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21/04/14
Fegato e biscotti
Eccoli qua. Croccanti, fegatosi, improbabili. Soprattutto improbabili.
A chi potrebbe mai venire in mente di fare dei biscotti alle frattaglie? A me, naturalmente.....
Diciamo subito che questi non sono i classici biscotti dolci, sono invece abbastanza salati. Ma a differenza di altri biscotti salati questi non sono duri come gallette. Sono invece corposi e friabili, e lasciano in bocca una sapidita' che invoglia a prenderne un altro.
Da tenere presente anche da soli, senza cioe' quello che ci ho messo dentro questa volta.
Senza quello che ci ho messo dentro possono, per esempio, essere un accompagnamento insolito, e valido, a un vassoio di formaggi.
Questi di oggi, pero', li ho inzeppati ben bene di fegato e li ho fatti anche appena un po' piccantini. Davvero ottimi.
Ingredienti, per 20-24 biscotti
280 gr di fegato di bovino adulto
7-8 cucchiai di olio e.v.o.
Peperoncino
180 gr di Farina 00
90 gr di Zucchero a velo
100 gr di Burro, a pomata
1 cucchiaino di Bicarbonato di sodio
2 cucchiai di Aceto bianco, per me di mele
1 cucchiaio di Aceto balsamico, di quello vero
1 cucchiaino di Sale
1 Uovo, a temperatura ambiente
Preparazione
Portare il forno a 180 gradi se ventilato o a 190 se statico. Non abilitare il riscaldamento della griglia superiore, altrimenti i biscotti verrano troppo cotti sopra e poco sotto.
Tagliare il fegato a quadretti di un paio di cm di lato. Per questa ricetta il fegato deve essere di bovino adulto, perche' quello di vitello non darebbe abbastanza sapore all'impasto dei biscotti. Si pensi a farina e uovo e come questi sovrasterebbero il sapore di un fegato di vitello, soft com'e'. Il fegato di bovino riesce invece a farsi sentire anche insieme a farina e uovo.
In una padella mettere l'olio e abbondante peperoncino e far andare a fuoco vivo finche' l'olio non e' bello caldo.
Aggiungere i quadrotti di fegato e farli saltare per 2-3 minuti, avendo cura che tutti i lati sentano il calore del fuoco. Scolare i quadrotti e passarli al frullatore, facendolo andare a scatti invece che in continuo, perche' non vogliamo ottenere un pate', ma tante piccole briciole.
Setacciare la farina e mescolarci il bicarbonato.
Lavorare con le fruste elettriche, o altro tipo di macchina, il burro (che deve essere morbido come una pomata) e lo zucchero a velo. Lo zucchero deve essere proprio quello a velo, altrimenti e' meglio lasciar perdere.
Lavorare finche' l'impasto diventa una crema densa ed omogenea. Aggiungere l'uovo, il sale e i due aceti e continuare a lavorare per mezzo minuto.
A questo punto aggiungere poco per volta la farina col bicarbonato e lavorare per 4 o 5 minuti. L'impasto all'inizio sara' durissimo, ma si ammorbidira' un po' mentre lo si lavora, niente paura.
Infine tenere da parte un paio di cucchiai di briciole di fegato frullato e aggiungere il grosso all'impasto, continuando a lavorare per un minuto.
Lasciare riposare per una decina di minuti. Intanto stendere un foglio di carta forno sulla teglia che poi sara' infornata coi biscotti.
Passati i 10 minuti di riposo prendere due cucchiai e con questi formare delle quenelles. Appoggiare le quenelles sulla carta forno, lasciando almeno 4 cm tra l'una e l'altra per evitare che crescendo in cottura vadano ad attaccarsi.
Non preoccuparsi troppo di farle regolari, si assesteranno in cottura.
(me ne fossero venute due uguali......)
Infornare per 15-20 minuti. Il minutaggio non puo' essere indicato precisamente perche' dipende dalla qualita' della farina e da come lavora il forno. Diciamo che che devono prendere un bel color ambrato e non diventare marroni.
Nella foto sottostante li ho tolti dopo 5 minuti, ma solo per farvi vedere come quelle informi quenelles si assestino al calore e comincino ad assomigliare a dei biscotti.
Quando i biscotti saranno pronti spostarli a raffreddare.
Mentre si raffreddano prendere delle briciole di fegato frullato e disporle per il lungo sui biscotti.
Dato il sapore del tutto particolare di questi biscotti conviene accompagnarli con un vino bianco forte, anche liquoroso purche' non dolce. Anzi piu' secco e' e meglio e'.
Come sono all'assaggio? Insoliti. Sono sicuramente salati, ma con lieve retrogusto dolce.
Il fegato a pezzetti contenuto nell'impasto, insieme a quello riportato sopra, sorprende il palato per il contrasto col sapore del biscotto, e si fa sentire in tutta la sua briciolosa frattagliosita'.
L'insieme dolce (poco), salato (piuttosto) e frattaglioso (ma al punto giusto) viene completato in bocca dal piccantino del peperoncino, che si svela gradatamente. Molto goloso.
Biscotti insoliti, ma soprattutto buoni. Certamente adatti ad amanti del quinto quarto.
Anche questa ricetta partecipa all'MTC numero 38, se non altro come curiosita' e per stupirvi.
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18/04/14
Royale de paté de foie, sauce framboise et biscuits aux figues
Preambolo - La foto puo' sembrare scarna ma io non amo i set ben accomodati, l'atmosfera soft, le sfumature, e simili. Per me l'immagine deve mostrare la preparazione, tralasciando se del caso la questione della forma e tentare invece di farne capire la sostanza. Insomma sono per una composizione pulita, senza barocchismi. Se a chi guarda, food blogger o fotografo che sia, non piace, pazienza, me ne faro' una ragione.
Fine del preambolo, passiamo a quella che io chiamo “sostanza”
Il titolo in francese e' altisonante, ma la traduzione semplicemente e': "Reale di paté di fegato con salsa di lamponi e crackers ai fichi".
Nella cucina francese la parola royale viene usata per definire un piatto da re, reale appunto.
Di norma una royale di pate' e' una preparazione dove questo viene servito in un recipiente, di solito una cocottina e accompagnato da una salsa piuttosto liquida, se non addirittura un brodo, e dagli immancabili crackers, variamente insaporiti.
Tutti i sapori devono collaborare, con contrasti e completamenti, a formare un insieme degno di un re. E' rinomata la preparazione di Paul Bocuse, dove il patè, di foie gras, e' accompagnato da un brodo di castagne, a coprire.
Il brodo va a coprire il paté, nella cocotte. Ho rivisto di recente la descrizione di questa preparazione e ho pensato di reinterpretarla per l'MTC, che questo mese chiedeva ricette basate sul quinto quarto.
Reinterpretare per me significa prendere l'idea originale e creare qualcosa di simile, ma contemporaneamente diverso.
Cosi' il paté e' di fegato di vitello e non di fegato grasso d'oca, perche', apro una parentesi, io non approvo i maltrattamenti fatti agli animali. Certo, noi alla fine uccidiamo gli animali per mangiarli, ma questo non significa non rispettarli finche' in vita. Oche immobilizzate in gabbia e alimentate a forza col metodo del gavage sono vittime impotenti di una vera barbarie. Molte nazioni hanno proibito la produzione di foie gras, ma non l'importazione e il consumo, mentre alcune altre ne hanno proibito addirittura il consumo. In USA, per esempio, la California ne ha dichiarato illegale la vendita e il consumo fin dal 2004. Il che, come in tutti i casi di esagerato proibizionismo, ha generato un mercato nero con prezzi da capogiro. Chiusa parentesi.
Tornando al mio paté ho voluto presentarlo non in cocotte ne' affettato, ma ben sformato, e ci sono riuscito con un semplice accorgimento.
Al posto di un brodo (geniale quello di castagne del Bocuse) ho preferito creare una salsa profumata e asprigna che potesse contrastare col dolciastro del fegato: una salsa di lamponi freschi. Per i lamponi e' vero (nota per Fabiana ) che non siamo in stagione, ma -al bisogno- si possono anche acquistare i sudamericani, purche' freschi e non surgelati.
Poi ci sono gli immancabili crackers, che devono fornire croccantezza e sapore aggiuntivo. Mi e' tornato in mente un pane fresco ai fichi che avevo assaggiato in un notissimo ristorante di Bergamo. Dopo qualche tentativo insoddisfacente di riprodurlo ho alla fine realizzato dei crackers leggeri e profumati di fichi, perfetti per accompagnare il paté e contrastare appena l'asprigno della salsa di lamponi.
In conclusione, me lo dico da solo: il risultato e' stato proprio degno di un re, ed e' entrato nell'elenco dei mie cavalli di battaglia.
Ingredienti, per 2 persone
Paté de foie
200 gr fegato di vitello
120 gr + 50 gr di burro, a pomata
7-8 foglie grandi di menta
1/2 bicchiere di cognac o brandy
Sale
Tagliare il fegato a fettine e poi a pezzetti sui 3 cm circa. Lavorare i 120 gr di burro insieme ad una presa di sale.
In una padella mettere gli altri 50 gr di burro assieme alle foglie di menta. Far andare a fuoco vivo qualche minuto, in modo da far evaporare almeno in parte l'acqua contenuta nel burro. Poi aggiungere i pezzetti di fegato e far saltare a fuoco alto per un non piu' di due minuti. Quindi abbassare il fuoco a meno della meta' e versare il cognac o il brandy. Attenzione, non vogliamo fiammeggiare, vogliamo invece ottenere una riduzione che insaporisca, lentamente, il fegato. Quando fatto, togliere il fegato, sgocciolandolo brevemente, e metterlo nel frullatore insieme al burro lavorato.
Frullare finche' l'insieme e' ben omogeneizzato. Se il risultato paresse troppo solido si potrebbe aggiungere un cucchiaio del grasso di cottura, ma lo sconsiglio.
Stendere un foglio di plastica trasparente su un vassoio o su un piatto, facendo attenzione che non si formino bolle d'aria o grinze.
Prendere un altro foglio di plastica trasparente, ripegarlo piu' volte su se stesso in modo da ottenere un po' di spessore. Anche qui e' molto importante evitare bolle d'aria o grinze. Quando fatto premerci sopra un coppapasta e con le forbici tagliare sul segno lasciato dal coppapasta. Il cerchio ottenuto ci servira' poi da tappo.
Appoggiare il coppapasta sul foglio di plastica del piatto. Riempire il coppapasta col paté, per un'altezza sui 3 cm.
(vi e' consentito aspirare voluttuosamente gli aromi di fegato, cognac e menta che si sprigionano durante questa operazione)
Via via che si mette il paté pressarlo bene e quando finito livellarne poi la superficie. Adesso prendere il tappo e farlo scendere nel coppapasta fino a coprire il paté, eliminando quindi l'aria che lo farebbe annerire e seccare.
Prendere tutto l'insieme e metterlo in frigo per 24 ore. Attenzione a che non geli, la temperatura non deve scendere sotto i 5 gradi.
Sauce framboise
120 gr lamponi freschi
1/2 cucchiaino di zucchero a velo
1/2 cucchiano di maizena
1/2 bicchiere di acqua
Preparare la salsa non piu' di un'ora prima del servizio. Se e' disponibile una centrifuga passarci i lamponi e allungare il liquido ottenuto con l'acqua.
Altrimenti strizzarli con le mani e quindi passare liquido e resti in un colino a maglie finissime, aiutandosi con l'acqua. Qualunque sia il metodo utilizzato versare il liquido ottenuto in un pentolino e scaldarlo a fuoco basso, aggiungendo poco per volta lo zucchero a velo e mescolando con la frusta. Quando si e' raggiunto il bollore far cadere a pioggia la maizena, sempre mescolando con la frusta. Mescolare per un minuto quindi togliere dal fuoco. In questo momento la salsa velera' un cucchiaio, ma avra' ancora un aspetto molto liquido. Va bene cosi', si addensera' in seguito. Se al momento dell'uso si fosse troppo addensata aggiungere un cucchiaio di acqua o due e mescolare, intiepidendo. La consistenza finale dev'essere simile a quella di una crema che scenda lentamente dal cucchiaio.
Crackers ai fichi
150 gr di farina
1-2 cucchiai di olio
1/2 tazza di acqua
1/2 cucchiaino di lievito in polvere
1 pizzico di sale
4-6 fichi secchi, anche liofilizzati
Questi mi hanno fatto davvero dannare e hanno richiesto diverse prove. Lo scopo era di ottenere dei crackers croccanti che in bocca spandessero sapore di fichi.
Piu' semplice a dirsi che a farsi. Ho provato a ottenere un brodo di fichi e con questi impastare la farina. Ho provato a spennellare una riduzione di brodo di fichi sui crackers prima di servirli. Alla fine il sapore della farina copriva sempre quello dei fichi. E se spennellavo i crackers questi non erano piu' crackers, cioe' non facevano piu' “crack” addentandoli, ma si ammosciavano tristemente.
Finche' non ho trovato una soluzione, ma la descrivo nel seguito.
Accendere il forno e portarlo a 190 gradi circa.
Tritare finemente a coltello i fichi secchi e passarli in forno su carta forno per 5 minuti circa. Devono seccare, senza diventare neri. Occhio !
Metteteli nel frullatore e dateci dentro fino ad ottenere una polvere finissima. Passare la polvere ad un setaccio fine. Il risultato dev'essere quasi impalpabile. Questa polvere di fichi si puo' conservare in un barattolino, con poca aria sotto il tappo. Attenzione, la polvere assorbe l'umidita' e col tempo si possono formare dei grumi.
Passiamo alla produzione dei crackers. Intiepidire l'acqua e scioglierci il sale e il lievito, mescolando con una frusta. Con il calore il sale si scioglie molto meglio. Far raffreddare, per un paio di minuti o tre.
Setacciare la farina e formare la solita fontana. Aggiungere l'olio e via via l'acqua, lavorando con una forchetta. O se avete un'impastatrice (non quella da muratori, ma non mi veniva la parola giusta, comunque mi avete capito), allora usate quella. L'impasto deve risultare una pastella un po' densa e se sembra troppo solido aggiungere un po' d'acqua.
Prendere due grandi fogli di carta da forno e olearli bene, cosi' poi l'impasto si stacchera' senza opporre resistenza.
Prendere uno di questi fogli e versarci la pastella, spandendola bene. Appoggiarci sopra l'altro foglio oleato e stendere tutto col mattarello, fino a ottenere uno spessore sottilissimo. Trasferire tutto l'ambaradan su una teglia da forno e togliere il foglio superiore.
Infornare per 5 minuti circa, o finche' l'impasto diventa un po' consistente. Togliere la teglia e con un coltello o con una rotella da ravioli incidete l'impasto a segnare approssimativamente dei piccoli quadrati. Rimettere in forno finche' i cracker saranno ben secchi. Attenzione a che non cuociano troppo, altrimenti anziche' dei cracker avrete prodotto delle tegole.
E adesso, poco prima di servire, il colpo di genio. (modesto, lui...).
Prendere uno spruzzino per i fiori e vaporizzare un po' d'acqua sui crackers, stando molto alti, sul mezzo metro. Poi prendere la polvere di fichi e con un colino a maglie fitte far cadere un po' di polvere battendo dei colpetti sul lato del colino. La polvere aderira' immediatamente. Fatto, e fatto bene.
Impiattamento
Togliere dal frigo il paté una mezz'ora prima del servizio. Con le dita o, meglio, con delle pinzette, togliere via il tappo di plastica. Far strisciare il coppapasta sul piatto finche' non si stacca, capovolgere il coppapasta sul piatto da portata e gentilmente spingere il paté finche' non esce dal coppapasta e tocca il piatto. Io ho trovato un batticarne che e' proprio della misura interna del coppapasta, ma si puo' fare anche con le dita, solo facendo attenzione a non lasciare segni sul paté.
A questo punto infilzare dei crackers sopra, gli altri si serviranno a parte, e far cadere abbondante salsa di lamponi su un lato del paté.
Nella foto sottostante avevo inserito due crackers e riempito lo spazio vuoto con un rametto di timo, ma poi ho deciso di aumentare i crackers.
Per gustare questo piatto al meglio si devono prendere col cucchiaino delle piccole porzioni di paté e inzupparle appena nella salsa di lamponi, accompagnando poi con morsi ai crackers.
All'assaggio si sente deciso il sapore del fegato, mitigato dal sapore del burro. L'asprigno della salsa di lamponi contrasta il dolciastro del fegato e il sentore di bosco riempie la bocca. Addentando i crackers si ottiene il contrasto tra il tenero paté e il croccante, e il sapore e il profumo di fichi completano in bocca gli altri ingredienti.
L'insieme e' paradisiaco (lasciatemi esagerare) e va gustato lentamente, un cucchiaino dopo l'altro. Si vorrebbe non finisse mai, almeno a me fa questo effetto.
Una preparazione molto raffinata, da servire nelle grandi occasioni. A chi e' in grado di apprezzarla, beninteso.
Se fate scorrere lo schermo verso il basso vedrete un commensale non invitato.
Mentre guardavo il piatto attraverso il mirino della macchina fotografica ho sentito un deciso PLOMP ! e con orrore ho visto il mio gatto, notoriamente un buongustaio, che aveva sentito l'odore ed era balzato sul set per verificarne l'origine. Fermo, fermo! Ma era troppo tardi....
Con l'occasione auguro ai partecipanti all'MTC e agli altri amici una felice Pasqua.
Ci vediamo dopo Pasqua con una o due ricette ancora sul quinto quarto.
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16/04/14
Sciusceddu per Pasqua -- Anzi, sciusceddru.
Lo sciusceddu, ma piu' correttamente sciusceddru, e' un piatto domenicale siciliano di minipolpette di carne che viene tradizionalmente preparato per il pranzo di Pasqua.
La parola e' sempre riportata senza la r, perche' i non siciliani, i “continentali”, non sanno come riprodurla per scritto.
Pensate solo a come viene trascritta la parola “bella”: bedda, senza la r.
In realta' la r nel linguaggio parlato c'e' e la si sente benissimo. E' quella r tipicamente siciliana pronunciata tenendo la punta della lingua un po' indietro sul palato, anziche' attaccata ai denti come siamo abituati a tenerla noi continentali. Facciamo una prova (a voce alta e chissenefrega se vi guarderanno strano): dite prima sciusceddru come siete abituati, alla continentale, e poi provate alla siciliana, con la punta della lingua un po' indietro e in alto, sul palato. Avete provato? Sentito quel particolare rotolio?
No, io non sono siciliano. Lo era mio padre, pero', e con lui ho frequentato il parentado (vasto e ramificato), e da lui ho imparato anche qualche ricetta siciliana originale.
Per esempio quella della pasta alla carrettiera, nella versione vera, da carrettieri, povera, semplice e molto gustosa. Questa ricetta l'ho anche descritta in un mio passato post, che tra l'altro e' stato il secondo piu' visitato in assoluto del mio blog.
Se la ricetta originale vi interessa la trovate, insieme a molte altre interessanti notizie, QUI
Ma tornamo agli sciusceddru e a come nascono. ll nome deriva da "sciusciare" cioe' soffiare, perche' viene servito caldissimo, ed e' prudente e consigliabile soffiare sul boccone prima di introdurlo in bocca.
C'e' chi dice che il termine derivi dal francese “souffler”, soffiare e chi lo riconduce al soufflé, perche' in alcune versioni si aggiunge dell'albume montato, che poi in cottura si gonfia. Ma a me questa seconda interpretazione del termine sembra un po' forzata, io sto con quella dello “sciusciare”, necessario per evitare ustioni.
Ne esistono, come per tutti i piatti tradizionali, infinite versioni, ma tutte riconducibili a due modi di cucinarlo.
Nel palermitano le polpettine vengono cucinate nel brodo, mentre nel messinese vengono ripassate in forno con aggiunta di ricotta e uovo.
Nella sua versione piu' ricca lo sciusceddru e' un piatto di vera cucina baronale, quella cucina un po' barocca anche descriita ne “Il gattopardo”, dove lo sciusceddru e' citato.
Tradizionalmente lo sciusceddru e' preparato per il pranzo pasquale, ma puo' benissimo essere proposto in altri momenti, e sara' sempre molto gradito. Magari come novita', al posto delle lasagne. Oltretutto e' meno impegnativo da cucinare.
Io, altrimenti non sarei io, ho naturalmente rivisitato questa preparazione e ho apportato molte correzioni, per esempio utilizzando della carne gia' cotta e percio' evitando la cottura in brodo.
I siciliani non me ne vorranno, ma penso di aver mantenuto comunque la golosita' complessiva.
Ingredienti per 4 persone
400 gr di manzo gia' bollito, o vitello, o agnello
5 uova
Pane grattato
Prezzemolo tritato
Peperoncino in polvere
2 litri di besciamella o piu'
1/2 bicchiere di brodo di carne
Parmigiano o Groviera grattugiato
Una teglia da forno con bordi di 5-6 cm
Preparazione
Preparare una besciamella tradizionale, solo avendo l'avvertenza di tenerla ben fluida e di salare il latte prima di aggiungerlo al roux. In Sicilia si utilizza il formaggio di pecora, che e' normalmente ben salato, mentre qui, usando del formaggio poco salato o addirittura dolce, e' opportuno salare. Verso la fine aggiungere anche il mezzo bicchiere di brodo e 4 cucchiai di parmigiano (o groviera) grattugiato, sempre mescolando. Lasciare intiepidire. Aggiungeremo le uova piu' tardi cosi' non si rapprenderanno al calore.
Nel frattempo (in cucina c'e' sempre un “nel frattempo”) tritare finemente la carne, aggiungere 2 uova intere, 3-4 cucchiai di parmigiano o groviera grattugiato, una presa di sale (perche' in Sicilia usano formaggio di pecora, il quale... etc...), un pizzichino di prezzemolo tritato e un po' di peperoncino in polvere, ma poco.
Impastare bene il tutto, aggiungendo se necessario del pane grattato in modo da ottenere un insieme denso e modellabile. Poi bagnarsi le mani e formare delle polpettine sferiche delle dimensioni di una noce piccolina (max 2 cm, cioe').
Accendere il forno e portarlo a 170-180 gradi. Adesso che la besciamella e' tiepida aggiungerci 2 tuorli d'uovo. La besciamella deve essere tiepida, non fredda e non cosi' calda da far coagulare le uova.
Mescolare bene, in modo da omogeneizzare besciamella e uova. Se voleste rendere l'insieme piu' soffice potreste aggiungere anche gli albumi montati a frusta. Io ve lo sconsiglio, ma vedete voi.
La besciamella, cosi' modificata, e' quasi diventata una salsa Mornay. Quasi, perche' noi abbiamo aggiunto in piu' un po' di brodo.
Procediamo: sul fondo di una teglia da forno a bordi alti versare un cm di salsa e accomodarci le polpettine, lasciando un cm circa tra l'una e l'altra.
Versare il resto della besciamella/Mornay a coprire tutte le polpettine. Tutte le volte a me la salsa risulta sempre insufficiente, magari voi preparatene di piu', perche' le polpettine devono essere completamente coperte. Nella foto seguente la teglia e' pronta per essere infornata. Si vede benissimo che anche questa volta, maledizione, la besciamella mi e' risultata poca. Voi invece abbondate.
Infornare finche' la superficie e' ben abbronzata. Servire subito, portando la teglia in tavola e facendo le porzioni al momento.
Questo e' un piatto da consumare tutti insieme, soffiando, anzi sciusciando, in allegria.
All'assaggio la besciamella avvolge le polpettine in un "manto di velluto" (non sono io che lo dico, me l'hanno detto...) e i sapori si fondono in un insieme goloso.
Se non li fate per Pasqua, provate a proporli qualche altra volta al posto delle solite lasagne, farete un figurone.
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