28/12/10

Esercizio in bianco e nero


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Tra Natale e Capodanno: e' un periodo strano, come una specie di limbo.  Si e' reduci da grandi mangiate e si aspetta di festeggiare, mangiando molto, il nuovo anno. In questi giorni sento spesso parlare di diete, e nei vari blog vedo pubblicare ricette semplici e leggere, anzi leggerissime. In preparazione ai pranzi di Capodanno? Nooo, e' solo che pensare a cucinare, dopo le orgie dei giorni scorsi, fa quasi impressione.
Certo, stare leggeri aiuta. Nei giorni scorsi, nei miei auguri ad amiche e amici appassionati di cucina, dicevo: "Ed auguro a tutti di non ritrovarsi per Befana con una taglia in più".
Il problema sono gli assaggi. Si, perche' un cuoco che si rispetti (e io mi rispetto moltissimo) assaggia sempre tutto. Come si puo', dico, buttare roba in padella, mescolare un po' e sperare che il risultato sia ottimo?  Sara' sufficiente, forse, magari buono, ma non ottimo.  Bisogna assaggiare.
Io, poi, estremizzo. Assaggio anche gli ingredienti a crudo, per capire quanta cottura e di che tipo sia necessaria.  Insomma, come per gli alticci, dove "non e' il bere, e' il ribere", per la linea dei cuochi "non e' l'assaggiare, e' il riassaggiare".
Ma non esageriamo, in cucina conta molto anche l'occhio e l'olfatto. Per esempio per me e' importante vedere come colore e consistenza degli ingredienti si stanno modificando in cottura.
Ci vuole molta luce: se nelle sale dei ristoranti il lume di candela puo' fare atmosfera (e rendere le donne piu' belle) nelle cucine la luce e' quasi abbagliante.
In casa nostra ultimamente abbiamo cambiato l'arredamento e l'abbiamo voluto su misura. A parte l'altezza dei piani di lavoro, che ho voluto maggiorata, ho avuto delle discussioni per via delle luci del sottocappa, che volevo belle forti.
Scherzando mi dicevano "ma che vuol fare, una discoteca?". Hanno effettivamente montato dei faretti aggiuntivi, ma non sono ancora soddisfatto, sto meditando di far cambiare gli anemici faretti con qualcosa di piu' potente (90.000 watt basteranno?).
Ma guarda dove siamo andati a finire: dal limbo ai watt....
Comunque sia -limbo o non limbo- in questi giorni di fare grandi cucinate non se ne parla proprio.
Allora ho pensato a un esercizietto, quasi un tema:
"Il candidato, razzolando tra gli avanzi di frigo, studi e produca una preparazione che rigorosamente rispetti un duale cromatismo, accostando gli estremi di bianco e nero".
Mi sono auto-sfidato....
Dopo aver attivamente razzolato in frigo ho scelto delle mini cipolline sottaceto e un pezzo di lesso barzotto avanzato (su "lesso" e "barzotto" si veda magari il post precedente).
Per il bianco ero a posto, il problema era di colorare il lesso di nero.
Caffe'? Banale.  Cioccolato? Forse la prossima volta.  Coloranti alimentari? No, perche' non ce l'ho.
E allora che ti invento? Il karkade'!!  Mi sono ricordato che l'infuso di karkade', che una volta avevo casualmente dimenticato, diventa bello scuro. Bastava solo rinforzare quell'effetto.

Ingredienti
Lesso barzotto
Curry
Cipolline sottaceto, le piu' piccole possibili
Zucchero
Infuso di karkade'

Preparazione
Tagliare un pezzo di lesso barzotto in forma di cubo (un aspetto turbofigo e' essenziale). Preparare un infuso di karkade' utilizzando 4 bustine per 2 bicchieri di acqua. Lasciare in infusione una mezz'ora, poi far ritirare a fuoco vivo almeno della meta'.
Mentre il karkade' si concentra rotolare il cubo nella polvere di curry, con lo scopo di dagli un sapore speziato (un sapore speziato turbofigo e' essenziale).
Una volta che il karkade' si e' ridotto della meta' adagiarvi delicatamente il cubo di lesso e lasciarlo li' almeno 24 ore. Il giorno dopo il karkade' sara' completamente nero e il lesso anche.
Poco prima di impiattare preparare un caramello chiarissimo con acqua e zucchero.   Il caramello deve restare praticamente trasparente, quasi uno sciroppo molto denso. Scolare bene le cipolline dall'aceto di conservazione e passarle qualche minuto in padella, continuando a spolverare con zucchero. Lasciare quindi intiepidire.
Per impiattare procurarsi un vassoietto di ceramica bianca lungo e stretto, sul quale eseguire la composizione.
Da un lato mettere il cubo, ormai nerissimo, ben scolato. Sull'altro, aiutandosi con un paio di pinze da cucina, costruire una piramide di cipolline. Queste, appiccicose come sono diventate, manterranno la forma.
Per una composizione bella come questa in un ristorante di buon livello e' probabile che vi facciano pagare uno sproposito. Noi ce la siamo cavata con un avanzo di lesso e delle cipolline sottaceto.

Pero' l'aspetto e' turbofigo, vero?
 


















All'assaggio il lesso e' bello speziato, con il contrasto tra il dolceamaro del karkade' e il piccantino del curry.  Nelle cipolline, poi, il contrasto e' tra l'acidulo dell'interno  e la patina dolce di caramello bianco.  E lesso e cipolline al caramello contrastano non solo come colori, ma anche completandosi nei sapori.
Insomma l'esercizio e' riuscito sia cromaticamente che nel gusto!!























 Con questa preparazione partecipo al contest "Colors & Food - What else?" di Cinzia e Valentina


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20/12/10

Risotto carnale

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Alla ricerca di un risotto nuovo, da presentare al contest di "farina, lievito e fantasia",   mi sono inventato un risotto davvero saporoso.  Di piu': sensuale, addirittura carnale.
E' a base di bollito, quello che a Firenze chiamiamo "i' lesso".  Non so a voi, ma a noi spesso capita che, ipnotizzati da un bel pezzo di manzo, ci lasciamo tentare e ne compriamo davvero troppo. Che farne, quando e' tanto, troppo?  Va bene, lo si puo' congelare, ma io ho la fissa che il congelamento cambi il sapore dei cibi. Sono fatto cosi'.
Con il lesso avanzato si possono fare tante cose, questa volta l'ho riciclato in un risotto.
Due parole sul "lesso": a Firenze nessuno lo chiama bollito. Semmai per bollito noi penseremmo a quell'insieme di carni diverse che in Emilia o in Piemonte viene chiamato cosi', dopo un'amorosa cottura lunga ore e ore.
Qui no. Per noi fiorentini il manzo bollito si chiama solo "lesso".
A molti, me compreso, piace mangiarlo "barzotto", ossia non troppo cotto e mangiato caldissimo, solo condito con un po' di sale. Il suo perfetto contorno e' la patata, lessata nel suo brodo, condita con olio, sale e pepe macinato. In casa nostra sulle patate lesse c'e sempre da discutere, dato che mia moglie Anna Maria le vuole cuocere a parte "perche' si disfanno e intorbidano il brodo". Sono piu' le volte che mi tocca mangiare quelle insipide patate cotte in acqua che quelle che mi posso gustare quando sono cotte nel brodo.
Vabbe', transeat, torniamo al risotto.  Un sapore pieno, veramente sensuale.

Ingredienti per 2 persone
300 gr. di lesso (per me barzotto, per voi cotto di piu')
160 gr. di riso buono
Mezzo bicchiere vino bianco, no Tavernello
2 spicchi di aglio
1 puntinina di peperoncino
Brodo (del lesso)
Olio e.v.o.

Preparazione
Se il lesso e' barzotto, ossia non completamente cotto, ma invece bello consistente, tagliarlo a bastoncini di max mezzo cm, seguendo il verso delle fibre. Se invece il lesso e' decisamente piu' cotto sfilacciarlo con le mani a ottenere dei bastoncelli.
Fare un trito degli spicchi di aglio e metterlo a soffriggere in 5-6 cucchiai di olio evo insieme a una minuscola puntina di peperoncino. Appena prima che l'aglio si colorisca versare il vino bianco e farlo ritirare almeno per meta'. Quindi buttare gli sfilacci di lesso e far andare 4-5 minuti, mescolando. Il lesso cedera' parte del brodo che ancora contiene al suo interno e questo evitera' all'aglio di colorirsi e di essere troppo presente nel risultato.
Dopo i 4-5 minuti aggiungere il riso e tirarlo a cottura aggiungendo poco per volta il suo brodo.   Verso la fine assaggiare e regolare di sale. Fuori dal fuoco mantecare con un cucchiaio di parmigiano. Niente burro, la carne ha gia' ceduto a sufficienza del grasso senza che se ne debba aggiungere ancora.
Ho anche provato una variante: aggiungere subito prima di mantecare una dadolata di filetti di pomodoro, che danno freschezza e un po' di colore. Ad Anna Maria piace di piu' col pomodoro, a me senza, per sentire di piu' il sapore della carne. Gusti.
Impiattare e servire.  Incredibile che con quei pochi ingredienti venga fuori un piatto cosi' buono.   Fino dalle prime forchettate si sentono dei sapori corposi, un insieme sensuale dove riso, brodo e manzo si uniscono e si completano l'un l'altro. Un matrimonio di passione, un insieme veramente carnale.
























Ma guardate che bellezza e immaginatelo fumante, non vi viene voglia di infilarci la forchetta?
Posso solo dirvi: fatelo, ogni lasciata e' persa.......





Questa preparazione partecipa al contest Ballarini, proposto da "farina, lievito e fantasia", nella sezione Risotti  









QUI un elenco aggiornato dei partecipanti

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09/12/10

Zucca per due (cucchiaio e forchetta)



















E' tempo di zucca, gente. E io ho pensato a due ricette un po' diverse dal solito.
La prima l'avete vista sopra, e' una crema di zucca al coriandolo e uovo. La foto mi piace particolarmente, cosi', essenziale.
La seconda prevede l'uso della crema per condire dei vermicelli, la trovate piu' sotto.
La crema, comunque, e' stata una sorpresa piacevolissima, speziata ed aromatica. Da tenere presente.
Due parole sul coriandolo: la pianta appartiene alla stessa famiglia del  prezzemolo, del cumino, dell'aneto e del finocchio. Sia le foglie che i semi sono molto usati nella cucina indiana.  Il coriandolo e' usato in erboristeria contro i dolori di stomaco e per prevenire l'aerofagia.
Una curiosita': nel corso del nostro rinascimento a carnevale e ai matrimoni c'era l'usanza di lanciare dei dolcetti, tipicamente dei confetti costituiti da mandorle ricoperte di zucchero.  I semi di coriandolo, pero', si ottengono da una pianta che cresce spontaneamente nelle campagne e quindi sono facilmente reperibili e molto meno costosi delle mandorle.
Ecco allora che quei semi venivano ricoperti di zucchero e lanciati come confetti. Successivamente al posto dei semi di coriandolo vennero usate palline di gesso o di carta colorata e poi dei piccoli ritagli di carta colorata. Capito da dove viene il nome dei carnevaleschi coriandoli?



La crema

Ingredienti
1/2 Kg di polpa di zucca
1 patata di 6-7 cm
1 cucchiaio di semi di coriandolo macinati al momento
1 tuorlo d'uovo per persona

Preparazione
Tagliare zucca e patata a cubetti. Coprire a filo con acqua (o, se si preferisce, con brodo di verdura) e far bollire finche' il liquido non e' quasi del tutto ritirato. La patata, col suo amido, serve a legare e rendere piu' consistente la crema.
Scolare zucca e patata e travasare nel bicchiere del minipimer. Aggiungere i semi di coriandolo macinati al momento (1 cucchiaio di macinato) e due prese di sale. Frullare a oltranza. Il risultato deve avere la consistenza di una crema, non di una zuppa.
Assaggiare e aggiustare di sale e coriandolo, se necessario.


Versione cucchiaio

Prendere un tuorlo d'uovo, adagiarlo su carta forno e farlo appena rapprendere in forno. Poi prenderlo con delicatezza e appoggiarlo al centro del piatto, spolverandoci sopra un pizzico di sale. Io ho provato con l'uovo crudo e il risultato era ugualmente buonissimo, ma non a tutti puo' piacere l'uovo a crudo.Gusti.













All'assaggio la crema e' profumatissima e l'acuto del coriandolo macinato di fresco fa da contrasto al dolce della zucca. Un equilibrio profumato!!





Versione forchetta
















Semplicemente saltateci dei vermicelloni al dente. Golosissimi, scivolano in gola che e' una bellezza.



 Due novita'.  Gustose. Provatele, ve le consiglio

A presto :)

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06/12/10

Mousse cioccolato all'arancia




















Bel dessert, vero? Ma non e' mica mio, ormai lo sapete che per i dolci sono negato...
E' di una nuova amica, Rossella, esperta cuoca professionista. Rossella ha lavorato a lungo in uno dei migliori ristoranti di Firenze (l'Ora d'Aria, di Marco Stabile. Oddio, si poteva dire? Caso mai lo tolgo, fatemi sapere). Rossella e' simpatica, timida ed esuberante allo stesso tempo. E brava.
Perche' non solo ha prodotto un dessert delicato e profumatissimo, ma lo ha anche presentato molto bene.
E' composto da una mousse al cioccolato con profumo di arancia e da un accompagnamento di crema pasticcera all'arancia.

Grande Rossella. La parola a lei...

Ingredienti per 4 persone
75 gr. cioccolato fondente 75%
30 gr. burro
500 ml latte intero
500 ml panna
30 gr zucchero
Succo di 4 arance
10 gr amido

Preparazione
Far sciogliere il burro e farlo raffreddare. Far sciogliere il cioccolato. In un recipiente di acciaio versare il cioccolato fuso e il burro. Mescolando aggiungere la panna, lo zucchero e l'amido. Montare il tutto, quindi portare a ebollizione. Prima di versare negli stampini aggiungere il succo d'arancia e mescolare un po'. Versare negli stampini e decorare con scorzetta gialla di arancia.
Per accompagnare fare una crema pasticcera come al solito, aggiungendo del succo di arancia. Versare la crema in una verrine e decorare con scorza gialla di arancia. Comporre il piatto aggiungendo una fetta di arancia e dei mikado al fondente. Decorare con zucchero vanigliato.

















All'assaggio la mousse si rivela leggerissima e non stucchevole (visto quanto poco zucchero? e' per non coprire i sapori di cioccolato e arancio, che si devono invece sentire bene). La crema pasticcera aveva, secondo me, meno uovo del solito, proprio per non sovrastare sapori e profumi della mousse.
Equilibrio perfetto dell'insieme.
Che vi devo dire? Io per i dolci non vado matto, ma questo qui io e Anna Maria lo abbiamo spazzolato in reverente silenzio (beh, magari qualche mugoletto qua e la'...).
Dessert raffinato, che lascia leggeri e soddisfatti.


E brava Rossella !!

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05/12/10

Pastissada de.....



















Che i veronesi mi perdonino, ma ho profanato una loro antica ricetta; la "Pastissada de caval". Non molti la conoscono, io stesso l'ho scoperta quasi per caso, anni fa durante una sosta a Verona.
Io sono del parere che trovandosi in nuove citta' si deve per forza provare le specialita' del posto. Come dire: nuova citta', nuova ricetta.  A Verona ho appunto provato la Pastissada de caval e mi e' piaciuta, ben speziata com'era. Altra scoperta che ho fatto a Verona e' stata la salsa Peara', a base di midollo. L'ho scoperta in un ristorante che adesso non c'e' piu', poco dopo l'uscita di Verona Sud: "Dal Baffo".
A questo ristorante e' legato anche un altro ricordo: la prima volta che ci sono entrato un cameriere mi ha chiesto "E' socio?". Io ancora un po' rimbambito dal caldo (pieno Luglio, no aria condizionata in auto) e dalla guida da Firenze, con ancora l'autostrada negli occhi, ho risposto senza tanto pensarci di no. Cosa volesse dire l'ho scoperto poco dopo vedendo una porta con sopra una bella targa "Club del Baffo".
Tornato al tavolo ho sondato il cameriere, che mi ha risposto (immaginate l'accento veneto): "Scusi, sa, ma ho visto quel bel paio di baffi e mi sono permesso".
L'ho scusato e mi sono fatto consigliare sulle tipicita' del menu. E' stato cosi' che ho provato la salsa peara'.
Ecco, ci risiamo, mi sono fatto trascinare dai ricordi e sono saltato dalla Pastissada alla salsa Peara', e' ora di tornare all'argomento di questo post.
La Pastissada, dunque. Si narra che nel 489 (piu' di 1.500 anni fa, e precisamente il 30 Settembre) ci fu alle porte di Verona una grande battaglia tra gli eserciti di Odoacre, all'epoca re d'Italia, e Teodorico, re degli Ostrogoti.
Odoacre faceva parte dell'esercito romano, all'epoca ormai composto quasi esclusivamente da stranieri, ed e' ricordato perche' con un colpo di stato militare depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente. A lui quindi si ascrive la famosa "caduta dell'impero romano". In realta' l'impero era, dopo secoli di vita comoda e di decadenza, verso la sua fine. Era gia' diviso in due: l'impero romano d'occidente e quello d'oriente, quindi Odoacre dette solo il colpo finale.
Dopo la deposizione, sostenuto dalla forza del suo esercito,  si fece re d'Italia annettendosi anche l'Austria e la Dalmazia.  L'imperatore Zenone, preoccupato dal crescente potere di Odoacre, gli mando' contro Teodorico e il suo fortissimo esercito. Nella battaglia che si svolse nella pianura di Verona rimasero morti sul terreno moltissimi cavalli. Il vincitore Teodorico dopo aver fatto scorta di carne per il suo esercito lascio' i resti alle genti del posto.
All'epoca i frigoriferi non esistevano e quelle genti misero la carne a conservarsi nel vino e nelle spezie.  Da notare due cose: primo. il vino di allora era poco piu' che aceto, e quindi ben si prestava alla conservazione; e, secondo, le spezie e le erbe aromatiche in genere erano pesantemente usate col solo scopo di coprire gli effetti della putrefazione. Le spezie e le erbe aromatiche, che a volte oggi usiamo in piccole quantita' per ingentilire un piatto erano allora una reale necessita'.
Via via che serviva, la carne di cavallo veniva scolata dal liquido di conservazione e messa a cuocere finche' non fosse stracotta. La cottura veniva fatta facendo bollire a lungo la carne di cavallo con quel liquido di conservazione, bello speziato, per ore e ore, finche' non venisse tenera. Il risultato era un pasticcio di carne, la Pastissada, appunto.
In questi giorni di freddo e pioggia ho pensato che fosse il caso di fare una bella pastissada, calda e speziata. Un piatto sontuoso, da mangiare in compagnia e contornandolo di polenta bollente.
Ma, voi mi conoscete, no? Potevo io rifare la pastissada senza cambiarla? Certo che no.
E allora ho usato della carne di maiale e ho fatto una "Pastissada de maial". Come ho gia' detto: i veronesi mi perdonino.

Ingredienti per 4 persone
600 gr di spezzatino di maiale
6 carote
4 foglie di alloro
1 pugno di chiodi di garofano
2 cucchiai di cannella in polvere
1 cucchiaino di pepe in grani
3-4 bacche di ginepro
1 peperoncino
1 litro di vino rosso
mezzo bicchiere di aceto
2 cipolle
3 gambi di sedano
50 gr. di burro
mezzo bicchiere di olio evo
1 litro di brodo
1 cucchiaio di farina

Preparazione
36-48 ore prima tagliare la carne a spezzatino, in pezzi di un 3 cm al massimo. Non tagliar via troppa parte grassa perche' essendo il maiale una carne magra un po' di grasso aiutera' la cottura.
Mettere la carne in un recipiente, meglio se di acciaio, aggiungere due carote a pezzetti, mezza cipolla, le foglie di alloro, un cucchiaio di cannella in polvere, le bacche di ginepro, il peperoncino, i chiodi di garofano  e il pepe intero. Chiudere con un foglio di plastica e mettere il tutto in terrazza, o comunque fuori dal frigo. Ogni tanto agitare il recipiente.
Durante le 36-48 ore di marinatura la carne subira' una bella frollatura e si insaporira' di vino e spezie.
Passato il periodo di marinatura preparare un trito con la rimanente cipolla, carote e sedano. In una casseruola di grandi dimensioni mettere l'olio e il trito e fare andare a fuoco medio per 3-4 minuti. Quindi scolare la carne e aggiungerla al soffritto. Mescolare bene, per far sentire calore a tutti i pezzetti di carne. Dopo altri 10 minuti aggiungere un mestolo del liquido di cottura, dal quale si saranno prima tolti cipolla e carote.
Far ritirare, coperto, a fuoco basso e aggiungere via via del liquido di marinatura. Quando questo sara' terminato continuare col brodo. Deve cuocere al minimo 4 ore, anche se la ricetta originale, quella con la carne di cavallo, deve cuocere finche' la carne comincia a disfarsi.
Alle 4 ore aggiungere il burro e l'altro cucchiaio di cannella e far andare mescolando per 5-10 minuti. Togliere la carne, versare la farina nel fondo di cottura e assodarlo. Quindi rimettere la carne e tenere in caldo. Un piatto facile da realizzare, basta solo controllarlo ogni tanto e aggiungere del liquido.
Sarebbe da servire con polenta bollente. Io ero rimasto senza farina di mais, salvo un sacchetto di quella cosiddetta "istantanea" (vade retro!!!), quindi ho deciso di presentare la mia pastissada semplicemente su uno specchio fatto col fondo di cottura addensato.



All'assaggio la parte alcolica del vino se n'e' ormai andata, resta il profumo. La carne e' ormai tenerissima e le spezie hanno aggiunto sapori e profumi incredibilmente golosi.
Un piatto per stupire gli amici. Un piatto sontuoso, da mangiare in compagnia, caldissimo.


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30/11/10

Bi-blogger e Schiaffoni al ragu' bianco di cappone





















Genny di "alcibocommestibile" ha proposto un contest veramente interessante, dal titolo "Aggiungi un blogger a tavola... il contest di Natale in collaborazione con KitchenAid".
In nome della passione che accomuna i gastrofanatici che hanno un blog la Genny ci propone di pubblicare in simultanea una ricetta comune a due foodbloggers, e magari preparata assieme.
Noi siamo Corrado e Ilaria.
Chi siamo, come siamo? L'uno si definisce "manager per bisogno, cuoco per passione", l'altra "Femminuccia che ha perso il conto dei propri anni ai 29". L'uno vicino alla pensione, l'altra con la meta' degli anni. L'uno e l'altra hanno un/una coniuge paziente, ma sarebbe meglio dire rassegnato, ormai abituato a far da cavia e a sentirsi poi sempre chiedere "Com'èèèè?
L'uno tanto concentrato nel lavoro quanto distratto al di fuori (non e' la prima volta che lascia la carta di credito al negoziante, saluta e se ne va, salvo essere poi rincorso per la restituzione), l'altra che lavora nel settore "legge e sicurezza" (ma che vorra' dire?).  L'uno senza figli, l'altra con due adorabili bambine, l'ultima che non ha ancora un anno e ride a chiunque la guardi.
L'uno e l'altra, insomma, con pochissimo in comune. Salvo, naturalmente, la passione per la cucina.
E cosi' eccoci qua.
Pensa, discuti, ripensa, partecipiamo a questo contest con un primo che richiama proprio il Natale: Schiaffoni (come dire paccheri) al ragu' bianco di cappone. Bianco perche' senza pomodori. Il pomodoro da' colore, ma col suo sapore sovrasta tutti gli altri sapori mentre noi volevamo tanta capponita', in purezza.
Il cappone in molte regioni e' un classico natalizio, ma di solito bollito o in forno. Noi lo abbiamo pensato come co-protagonista di un primo.
Gia' trovare un cappone in Novembre e' stato un colpo di fortuna, perche' gli allevatori li ammazzano e li vendono tutti insieme, vicino a Natale. Comunque: missione compiuta, cappone acquisito! Poi la guarnizione, che doveva rafforzare il concetto natalizio. E su questo non abbiamo trovato di meglio che accostarci una foglia di agrifoglio e come bacche dei chicchi di melagrana, anche questi tipici del periodo.
Per la realizzazione del piatto per prima cosa abbiamo cacciato fuori dalla cucina i coniugi, poi ci siamo dati da fare.
E per fare gli strafighi abbiamo cotto gli schiaffoni in maniera atipica, il che vuol dire: 1) - Cuocerli nel brodo di cappone; e: 2) - Usare il sistema "piedi al caldo".
Significa far bollire il liquido di cottura, spegnere e buttarci dentro la pasta. Aspettare che la pasta, stando "coi piedi al caldo", si cuocia senza bollire. La situazione era buffa: "Che dici, saranno cotti?", "No, e' presto, aspettiamo". "Che faccio, provo?" "E prova...". Con questo metodo abbiamo infilzato non pochi paccheri, meno male che ne avevamo messi in abbondanza....
Cuocendo la pasta nel brodo di cappone e saltandola poi in un ragu' di cappone il risultato era pieno di capponita'. Buonissimo. Ci siamo guardati e ci siamo detti "Siamo forti...".

Ingredienti per 2 persone
200 gr di schiaffoni di Gragnano
Un capponcello di 4-5 Kg (non tutto per la ricetta, ovvio)
2 Carotone
2 Cipolle bianche, o dorate
1 Gambo di sedano
Olio evo

Preparazione
Smezzare il cappone (pardon, il capponcello) e metterne una meta' in acqua fredda. Far cuocere a fuoco basso per un paio d'ore, insieme ai soliti cipolla, carota, sedano.  La cottura, il cui scopo era ottenere il brodo, era stata fatta il giorno prima. Il cappone cosi' lessato ce lo siamo poi mangiato il giorno dopo...
Scolare e filtrare il brodo. Prendere l'atra meta' del cappone, armarsi di coltellini affilati e di pazienza e disossare una coscia e meta' del petto. Tritare la carne a coltello.
In una casseruola mettere 5-6 cucchiai di olio evo, un trito di cipolla bianca, sedano e carota e far soffriggere per meta'. Aggiungere la carne tritata e mescolando spesso far andare a fuoco medio per 5 minuti.
Verso la fine aggiungere mezzo bicchiere di vino bianco e una presa di sale. Quando il vino e' evaporato togliere la carne, sgocciolarla, e con la mezzaluna sminuzzarla il piu' possibile. Rimettere la carne tritata in casseruola e a fuoco medio far andare per 20 minuti, aggiungendo via via che si secca del brodo di cappone. Ce ne vorra' un mestolo, massimo due.  Verso la fine assaggiare e regolare di sale.
Il ragu' NON deve assolutamente risultare secco, ma invece deve essere bello fluido. Tanto il brodo non manca....
Quando gli schiaffoni (quelli rimasti dopo gli assaggi, LOL!!) sono cotti farli saltare in padella insieme al ragu' di cappone.
Guarnire con agrifoglio e chicchi di melagrana e passare alle foto (cavalletti, luci, prova e riprova... sapete com'e').


















All'assaggio gli schiaffoni, vuoi per il metodo di cottura in brodo, vuoi per il ragu' di cappone sono risultati veramente golosi: erano pieni di capponita'...
Dopo le foto ce li siamo mangiati.  Li', in piedi, guardandoci e ridendo. Ne erano avanzati un po' e l'uno (o l'altra, non importa chi) se li e' portati anche via.




Se non si fosse capito: stiamo partecipando al contest di Genny












E' una ricetta sorprendentemente saporita, adattissima per il pranzo di Natale, prendete nota!

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23/11/10

Street Food ante litteram






















Qualche decennio fa a Firenze, in Via S. Antonino, accanto al mercato centrale, c'era una friggitoria.
Piccola, ma cosi' piccola, da essere minuscola. In due metri e mezzo di muro c'era il vano della porta e la finestra per la vendita. Il vano della porta era cosi' stretto che il padrone per uscire doveva girarsi di taglio. La finestra sara' stata larga forse un metro. Lo spessore del muro dove era aperta la finestra faceva da banco Siccome il pavimento della stanza era piu' alto di quasi mezzo metro del piano strada anche la finestra era piu' alta da terra di mezzo metro, cosi' che i clienti dovevano allungarsi per arrivare a prendere il loro cartoccio. Per i piccoli di statura il padrone dava il cartoccio col fritto affacciandosi (di taglio) sulla porta.
Da piccolo, avro' avuto 5 anni, a volte il nonno mi portava al mercato con se', per levarmi di casa.  Allora niente supermarket, si faceva il giro dei vari botteghini e si comprava quel che serviva. Al mercato si doveva andare spesso, nella nostra famiglia il frigorifero era di la' da venire. Anzi, ricordo che mio nonno, falegname in pensione, aveva attaccato in terrazza una specie di scatola con le pareti di retina fitta, tipo zanzariera. Era detta "la moscaiola" e serviva per tenere in fresco i cibi, almeno d'inverno. Al mercato si andava col tram e gia' per me era interessantissimo, volevo sempre stare sulla piattaforma a guardare il manovratore che, in piedi, faceva andare il tram. Fin da allora ero appassionato di macchine e macchinismi e osservavo tutto attentamente, a occhi spalancati. Ogni tanto il manovratore pestava su un piccolo pedale sul pavimento e si sentiva un DLIN, DLIN che avvisava gli altri di scansarsi.
Scesi dal tram andavamo a piedi per Via S. Antonino, verso il mercato.  Io avevo due punti dove mi volevo fermare a guardare. Uno era la norcineria dove erano appesi quarti di maiale e prosciutti e dove erano esposti due cinghialetti imbalsamati. Ora i cinghialetti sono diventati quattro e, per attirare i turisti, sono stati rivestiti in abiti rinascimentali e fatti sedere a una tavola imbandita. Trovate la foto QUI.
Piu' avanti c'era la friggitoria e li' mi volevo fermare a guardare il padrone che, sudatissimo, prendeva manciate di non so cosa e le buttave in enormi padelle fumanti. Dopo poco schiumava via dei pezzi dorati e fumanti che metteva in un cartoccio di carta gialla, a volte fatto a cono. Una spruzzata di sale (chiedeva al cliente  "grosso o fine?") e consegnava il cartoccio bollente. Il cliente se ne andava palleggiandosi il cartoccio bollente tra le mani e ogni tanto pescava qualcosa da mangiare mentre camminava.
Ero incantato, dall'attivismo del padrone e dai profumi che si spandevano a ogni frittura. Al nonno chiedevo sempre "via, nonno, si compra un po' di fritto?", ma non mi ha mai comprato niente: "Un'altra volta. Vien via, nini, vien via, glie' tardi...".
Quella friggitoria provvedeva ai clienti dello street food ante litteram. Tra le varie cose che friggeva ho il ricordo netto dell'odore del baccala' fritto, secondo me il prodotto piu' venduto.
Ai nostri (frettolosi) giorni i bastoncini di pesce si comprano surgelati e insipidi, a quei tempi si mangiavano appena fritti, saporiti, croccanti e profumati.
Oggi, per la cronaca, quella friggitoria c'e ancora, e' stata ingrandita ed e' gestita da cinesi (o coreani, o vietnamiti, chi lo sa).  Spande un tanfo di olio stantio che allontana i fiorentini, che non si fermano piu' a far la fila per un cartoccio caldo.
Come tardivo omaggio a quella friggitoria che non c'e' piu' e a quel fritto profumato ho cercato di riprodurre quello street food ante litteram.. ..






















Ingredienti per 2 persone
200 gr baccala' bagnato
2 uova
farina
pangrattato
sale

Preparazione
Spellare il baccala' gia' bagnato e tagliarlo a bastoncini quadrati spessi di un paio di cm e lunghi 7-8.  Ma chiamarli bastoncini mi sembra di squalificarli, la parola fa venire in mente certi surgelati insipidi e di composizione misteriosa.  Comunque: bastoncini piu' sottili vengono risecchiti in frittura e piu' lunghi si possono spezzare.
Sbattere le uova con un pizzico di sale, Il sale e' necessario per dare sapore al rivestimento del baccala', mentre il baccala' e' gia' salato di suo.
Passare i pezzetti di baccala' nell'uovo, poi nella farina, poi ancora nell'uovo e infine nel pane grattato.
Friggere subito in olio profondo e togliere quando sono ben colorati.
Mangiare immediatamente, e rigorosamente con le mani. Non e' necessario uscire (sarebbe o non sarebbe uno street food, un cibo da strada?), e neppure camminare per casa mentre si mangia , ma usare le mani e'  un obbligo.
Non so voi, ma a me il cibo mangiato con le mani sembra anche piu' gustoso...





















Che altro dire? Se avete fritto giustamente, ne' troppo ne' poco, i pezzetti di baccala' saranno croccanti e profumati. Io e Anna Maria li abbiamo mangiati in piedi, subito, via via che uscivano dalla padella. Ne abbiamo dati qualcuno anche a Maria Luisa, la nostra amica passata a salutarci. Sono piaciuti anche a lei.

Altro che surgelati insipidi.... Questi sono buoni, fateli anche voi.




P.S. - Il fritto -ogni tanto- non e' peccato....






Questa ricetta partecipa alla raccolta di Rossa di Sera, sugli street foods.










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21/11/10

Succotash (versione di Corrado)

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Oggi in USA e' il Thanksgiving Day, il giorno del ringraziamento. Veramente sarebbe il quarto Giovedi di Novembre, ma per non perdere un giorno lavorativo la festivita' e' stata spostata alla terza Domenica, sempre di Novembre. In origine il Thanksgiving era una festa cristiana che in seguito e' stata secolarizzata.  Tutti sappiamo che il piatto principe e' il tacchino farcito, accompagnato da panini al latte o da panini di granturco. Pochi sanno che il succotash era uno dei piatti che furono consumati durante il primo Thanksgiving. Mi piace quindi ricordare oggi questo piatto, poverissimo quanto saporito.
Un po' di storia sul Thanksgiving, spudoratamente copiata da Wikipedia: "I Padri pellegrini, a bordo della Mayflower, erano arrivati sulle coste americane nel 1620, dopo un duro viaggio attraverso l'Atlantico, in cui erano periti molti dei 92 pionieri imbarcati,( 52 uomini, 18 donne e 32 bambini). Con l'inverno ormai alle porte, si erano trovati di fronte ad un territorio selvatico e inospitale, fino ad allora abitato solo da nativi americani. Il primo anno fu molto duro. I Pellegrini vivevano in ripari di fortuna, il cibo scarseggiava e quasi la metà di loro non sopravvisse al rigido inverno. Con l'arrivo della primavera del 1621 la situazione migliorò. Per l'inverno i coloni riuscirono a mettere sotto sale del pesce e ad affumicare della carne. Dopo il duro lavoro degli inizi il governatore William Bradford indisse un giorno di ringraziamento a Dio per l'abbondanza ricevuta e per celebrare il successo del primo raccolto. Alla festa i coloni invitarono anche gli indigeni".
E cosa portarono gli indigeni, delle tribu' Algonquin? Il succotash, che nella loro lingua chiamavano msíckquatash e che i padri pellegrini storpiarono nel nome attuale.
E' interessante notare che gli indigeni non erano visti come nemici, e loro non si sentivano tali. All'epoca c'era terra e carne per tutti, i problemi vennero dopo all'aumentare degli immigrati bianchi e alla loro fame di risorse. Penso proprio che sia vero il detto "il razzismo, e quel che ne consegue, e' solo una questione di numero". Come dire: finche' i bianchi sono pochi, e lavorano onestamente, noi Algonquin li consideriamo dei vicini e ci aiutiamo a vicenda, se c'e' bisogno. Ma se i bianchi sono troppi la terra, la carne e altro non bastano per tutti, e tutti combatteranno per ottenere la loro parte.
Un'altra digressione: chi ha potuto leggere i comics americani in lingua originale, o ha visto al cinema dei cartoni animati non doppiati in italiano, avra' forse notato che Gatto Silvestro spesso esclama "Suffering Succotash!!".














Quel succotash ha a che fare col piatto legato al Thanksgiving Day? Neanche per idea, e' solo un'esclamazione che gli ipocriti censori hanno permesso di usare al posto della originale "Suffering Savior", letteralmente "Salvatore sofferente", che si ispirava alle sofferenze di Cristo, il Salvatore.
I censori nella loro mania di emendare tutte le forme espressive, da quelle scritte a quelle audiovisive, hanno a volte raggiunto vette di ridicolo ingegno. Un po' come certo nostro politicamente corretto, per cui un ragazzo nato mongoloide viene chiamato "diversamente abile", il che' sara' forse meno scioccante di mongoloide, ma certo non aiuta la persona ad integrarsi.
In USA queste sostituzioni sono chiamate "minced oaths", espressione intraducibile in italiano con poche parole. Lo scopo del "minced oath" e' diminuire la cosiddetta "profanity", che a sua volta e' traducibile con "parole, espressioni, gesti, od altri comportamenti sociali, interpretati come insultanti, rudi, volgari, dissacranti o irrispettosi".
Altra curiosita': sono andato a guardare sul mio fido dizionario etimologico, il Pianigiani, l'origine del termine "profano": viene dal latino PRO (avanti) e FANUM (tempio). "Quod pro fano est"  significa "cio' che e' innanzi al tempio", ossia fuori, in balia del pubblico. Percio' il contrario di cio' che e' dentro al tempio, ossia il sacro e il rispetto del sacro.
A proposito di mancanza di rispetto: indovinate un po' da dove viene il termine "FANATICO"?
Povero Silvestro, lo hanno fatto bandiera di un'ipocrisia strisciante del linguaggio.

Ma tornando al puro e semplice succotash -chiamiamolo cosi' anche noi- in sostanza questo e' un misto di granturco e fagioli, con infinite possibilita' di aggiunte di altri ingredienti.
Il succotash in USA e' un piatto della tradizione negli stati dove i padri pellegrini sbarcarono, su a Nord, ma anche in Pennsyslvania (la prima penetrazione nel territorio interno).
In molti stati del Sud e' detto succotash praticamente qualsiasi mistura di vegetali preparati assieme ai fagioli verdi (detti "lima beans") e coperti di burro o lardo fusi.
Io sono stato sul classico degli Algonquin, ma l'ho interpretato a modo mio. E stasera l'ho servito  per cena ad Anna Maria. Ero francamente dubitoso della sua accettazione, e avevo pronte cartate di affettati e del Parmigiano di 30 mesi comprato giusto ieri in un caseificio reggiano (ma questa e' un'altra storia, vero Marcella e Giorgio?).
Invece non solo ad Anna Maria la mia versione e' piaciuta, ma ha anche chiesto che la si rifacesse in futuro.  Evvaiii :-)

Ingredienti, per 2 persone
12 cucchiai di fagioli verdi
9 cucchiai di granturco
6 cucchiai di fagioli bianchi
1/2 cipolla bianca, ma va bene anche rossa
1 spicchio di aglio
4 dita di vino bianco
1 pizzichino di peperoncino
1 cucchiaio di pancetta a dadini
1 cucchiaio di foglioline di timo fresco
6 fette di pane

Preparazione
Bollire separatamente i tre tipi di fagioli e scolarli. Se, come me, non avete ne' tempo ne' voglia usate fagioli verdi precotti e surgelati, granturco e fagioli in scatola, ma ben sciacquati e scolati.
Abbrustolire le fette di pane. Tritare finissimamente la cipolla e l'aglio, ma separati. In una padella mettere 6 cucchiai di olio evo e la cipolla. Far andare a fuoco medio finche' la cipolla e' appena imbiondita, quindi versare meta' vino bianco e far evaporare. Aggiungere la pancetta e farla sudare. Versare il granturco e i due fagioli. Far andare mescolando spesso. Dopo 3-4 minuti aggiungere mezzo bicchiere di acqua e il pizzico di peperoncino e continuare a mescolare. Quando l'acqua e' evaporata aggiungere il trito di aglio, l'altra meta' del vino, una presa di sale e far andare mescolando per 1 minuto, non di piu'. Quindi cospargere con le foglioline di timo fresco (a proposito: la piantina sul terrazzo e' ormai pelata, la dovremo ricomprare). Impiattare, fare sul piatto un giro di olio evo e servire assieme alle fette di pane abbrustolito.



















All'assaggio si sentono i vari sapori di fagioli e granturco, assieme al dolce della cipolla e agli aromi di vino bianco e timo. Il pane abbrustolito e' uno splendido contrasto, sia per sapore che per la croccantezza.

A noi e' piaciuto molto, una vera sospresa.
Provate anche voi :-)

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18/11/10

Spaghetti a zero grassi














Penserete: i solti spaghetti al pomodoro....
Sbagliato!!!  Niente pomodoro, l'aspetto trae in inganno.
E niente grassi: ZE-RO!!!


Prima di passare alla ricetta fatemi dire che davanti a un piatto di spaghetti come questo, colorato, sugoso, la salivazione mi aumenta di colpo. Saro' un italiano tipico, quello che all'estero prendono in giro, o solo un buongustaio?
Mi e' capitato di sentirmi dire "Ehi, you, spaghetti..." con la classica pronuncia strascicata del sud USA "Speei-ghetti". O da un francese (sapete, quei parigini col complesso di superiorita'): "Les italiens? Spaghettivores...".
E, effettivamente, all'estero mi manca tanto la pasta. Ma ripensandoci e' meglio che manchi, perche' quando la fanno loro e' un vero disastro. La cottura? E' una vera scottura. Ancora non molto tempo fa ho visto gettare uno spaghetto sulle mattonelle di cucina e decidere che era cotto al punto giusto solo quando lo spaghetto restava attaccato.
E che dire dei condimenti? A me piace creare ricette, e' vero, ma che diamine, all'estero per le invenzioni sono capaci di tutto: spaghetti cotti nel brodo, scolati e conditi con marmellata di mirtilli (alta Germania), o affogati nella senape (California), o "con un goccio di cream per dargli garbo": la "cream" era panna, fredda di frigo. Lasciamo perdere gli spaghetti con le polpette, che ancora adesso in USA sono considerati "i veri spaghetti all'italiana", tanto che quando i loro turisti vengono in Italia si meravigliano della mancanza di polpette. Specialmente in USA mangiare significa solo nutrirsi, e anche alla svelta, per tornare ad occupazioni piu' importanti. Quindi le polpette aggiunte agli spaghetti consentono di consumare un piatto unico, senza perdite di tempo.
A dei colleghi/amici della California, che (venendo a conoscenza  della mia passione per la cucina) mi avevano chiesto la "vera" ricetta degli spaghetti al pomodoro, ho spiegato per filo e per segno come preparare il sugo, come cuocere la pasta, come saltarla nel condimento, etc etc.  Avendo anche problemi con la traduzione e le conversioni da decilitri in "Cups (tazze)", da centimetri in "Inches (pollici)" e da grammi in "Ounces (once)".
Mi hanno riempito di lodi e mi hanno raccontato che con questa ricetta avevano fatto delle belle figure con gli ospiti, "specialmente con la spolverata sul piatto di cipolla cruda tritata". Da spararsi....
E' anche vero che quando noi italiani vogliamo imitare delle specialita' straniere commettiamo gli stessi delitti.  Io, per esempio, in occasione del Thanksgivig Day, il giorno del ringraziamento (che cade il quarto Giovedi di Novembre, poi anticipato alla terza Domenica di Novembre per non perdere un giorno lavorativo) voglio provare a cucinare il tradizionale succotash (presto su questi schermi), ma con aggiunto il mio tocco personale. Chissa' che verra' fuori....
E mi piacerebbe anche accompagnarlo con dei panini di granturco. Ho chiesto a Roberto Potito (il Dio dei lievitati) la ricetta, ha promesso che la pubblichera', prima o poi.
Mi accorgo adesso di aver divagato, torniamo a questi spaghetti: il blog di Elga, "Semi di Papavero" ha proposto un nuovo contest, sponsorizzato da Lagostina, nel quale si devono proporre solo ricette con zero grassi. Proprio cosi': ZERO.
Mica facile.... Ma io ci provo.
Gli spaghetti che avete visto non sono conditi col classico sugo di pomodoro, ma con una crema di peperoni rossi dolci, semplicemente favolosa.
Ecco che andiamo....

Ingredienti, per 4 persone
500 gr di peperoni rossi maturi, pesati puliti
200 gr patate
3 decilitri di brodo di verdura
1 cucchiaino di zucchero
1 pizzichino di peperoncino in polvere

Preparazione
Sbucciare le patate e tagliarle a pezzetti di 1-2 cm. Pulire i peperoni e tagliarli a pezzetti di un paio di cm. In una casseruola versare il brodo di verdura e le patate. Dall'inizio del bollore cuocere per 5 minuti, poi aggiungere i peperoni a pezzetti.
Le patate con il loro amido renderanno appena un po' cremoso il risultato, perche' il peperone e' quasi tutta acqua e la crema verrebbe invece un beverone.
Dall'aggiunta dei peperoni continuare la cottura per 15 minuti circa. Se all'inizio vi sembrera' che i peperoni siano troppo asciutti non preoccupatevi: in breve butteranno fuori tutta la loro acqua, che dovra' consumarsi in cottura.
Mescolare spesso. NON salare. Dopo un minuto aggiungere il cucchiaino di zucchero, che servira' a contrastare l'amarognolo del peperone. Mescolare spesso. Se il peperone tendesse ad attaccarsi, ma non dovrebbe, aggiungete qualche cucchiaio di brodo.
Scolare peperoni e patate tenedo da parte il brodo di cottura. Mettere tutto nel bicchiere del minipimer assieme a un pizzichino di peperoncino in polvere. Frullare a oltranza, il risultato dovra' essere una crema densa. Se troppo densa (dipende dal grado di maturazione dei peperoni) aggiungere un filo di brodo di cottura.
Assaggiare e, finalmente, salare. Senza timidezza. Frullare ancora un poco.
Se pensate alla buccia dei peperoni nessuna paura: la prolungata cottura l'ha talmente ammorbidita che il minipimer la polverizzera': sfido chiunque a dire che ha trovato un pezzetto di buccia.

Saltare gli spaghetti nella crema di peperoni e servirli guarniti con foglie di basilico. Come direbbero a Roma "e' la morte sua".























All'assaggio il sapore acre del peperone e' sparito, sostituito da un dolce e vellutato sapore mediterraneo. Il basilico aggiunge i profumi tipici di un orto inondato di sole.
Non vorrei dire un'eresia, ma questi spaghetti sono persino migliori di quelli tradizionali al pomodoro. Piu' gustosi. Provate, resterete piacevolmente sorpresi.

Et voilà, zero grassi.



Questa preparazione partecipa al contest Lagostina del blog Semi di Papavero.



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15/11/10

Antipasto - Crema speziata di mele

















Chi non mi conosce sappia due cose:
1) - A me in cucina piace inventare  -cioe' creare- e non fare ricette di altri, sia pure un po' modificate. E' difficile, anche perche' in secoli e secoli di cucina tutto o quasi e' stato gia' provato, e percio' la "creazione" e' spesso un inconsapevole plagio. Ma io se non esperimento in cerca di novita' non mi diverto, sono fatto cosi'. L'anno scorso ho anche bandito un contest nel quale sfidavo i foodbloggers che mi leggono a creare una ricetta nuova, c'era solo spazio per la creativita'. E sono anche venute fuori delle squisitezze: QUI l'elenco dei premiati.
Poi,  2) - Per i dolci sono assolutamente negato. Un po' perche' mi piacciono di piu' i sapori salati, ma un po' anche perche' per cucinare dolci si devono rispettare dosi, tempi, temperature e tecniche, e a me queste sembrano imposizioni. A me piace inventare, sperimentare.
OK, OK, nello sperimentare produco anche delle belle ciofeche, ma quelle non le pubblico....  E sono anche debole nella presentazione del piatto.
Ma sono invece fortissimo nel sapore del cucinato: spero solo che prima o poi i foodblogger possano sentire sapori e profumi, anziche' limitarsi guardare le foto e immaginarsi il resto. Scienza e tecnologia fanno passi da gigante, magari in futuro...
Adesso basta divagare, ho scoperto un contest interessante, quello di Arabafelice, nel quale si chiedeva di inventare delle ricette a base di mele. Inventare? Sembrava fatto per me!! Per regolarmi ho sbirciato l'elenco dei partecipanti e ho avuto conferma che la stragrande maggioranza propendeva per i dolci, molti per i secondi e pochissimi per antipasti e primi. E' comprensibile, il sapore dolce della mela mal si presta ad integrare primi o antipasti. Anzi, come richiesto da Arabafelice, la mela non doveva integrare, ma invece essere l'ingrediente principale o uno dei principali. La difficolta' mi ha subito stuzzicato e ho iniziato a pensare a una ricetta adatta al contest.
Ho deciso per un antipasto e dopo vari esperimenti su ingredienti e metodi di cottura ho trovato quella che secondo me e' la giusta combinazione.

Ingredienti, per persona
1 mela Fuji
1 cucchiaio di succo di limone
3 cucchiai di vino bianco
1/4 bustina di zafferano in polvere
un pizzico di curry
2 cucchiai di pancetta a dadini, in
  alternativa 2 cucchiai di petto di pollo
  allo zenzero (vedi preparazione)
1 fetta di pane

Preparazione
Scelta del tipo di mela - Dopo diverse prove ho scelto la Fuji, perche' meno farinosa, piu' croccante e profumata delle altre. La renetta, a cui avevo pensato come prima scelta, e' stata una delusione.
Scelta tra pancetta e petto di pollo - Leggendo il nome scelto dalla proprietaria del blog Arabafelice mi e' venuto in mente che non a tutti la pancetta puo' essere gradita e ho provato una variante. Semplicemente tagliare a dadini del petto di pollo e saltarlo in padella in poco olio e polvere di zenzero. Salare i dadini e toglierli quando sono croccanti. Se si sceglie la pancetta saltarla in padella con poco olio finche' non comincia a croccare.
Tagliare la mollica di pane a cubetti e abbrustolirli in forno o in una padella.
Tagliare la polpa della mela a pezzetti di 1-2 cm, metterli in una casseruolina, coprirli a filo di acqua e aggiungere il succo di limone e il vino bianco. Far cuocere per 4-5 minuti dal primo bollore, non di piu'.
Mettere i pezzetti di mela nel bicchiere del minipimer, aggiungere lo zafferano e il curry e frullare a oltranza. Nel corso della frullatura aggiungere a filo l'acqua di cottura, in modo che il risultato sia una crema un po' fluida.
Siccome durante la frullatura la crema si sara' raffreddata valutate se sia il caso di riscaldarla brevissimamente nel microonde o in padella.
Versare la crema in ciotoline monoporzione e aggiungere mucchietti di pancetta croccante (o di petti di pollo) e di pane abbrustolito.
Servite subito, finche' e' calda. Osservate solo le espressioni di chi se la trova davanti: come minimo sono perplessi, i sorrisi verrano dopo.






















All'assaggio il dolce della mela e' leggermente mitigato dal limone ed e' ben contrastato dagli aromi delle spezie, zafferano e curry. L'aggiunta della carne saltata e del pane tostato aggiunge sapori e completa l'insieme.


















Il bel colore della crema, il sapore speziato e il profumo di mela ne fanno un antipasto nuovo, di sicuro successo.
E' una vera calda coccola, adatta a questi giorni invernali.








Come detto, questo antipasto partecipa al contest di Arabafelice.













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10/11/10

Cake Choco Banana
























Ecco una ricetta dell'amica Marcella, che ha accettato di aiutarmi a completare questo blog con una ricetta di dolci. Per i quali -lo sapete- sono assolutamente negato...
Marcella e' partita da una ricetta di Cristophe Felder (dal libro "Mes 100 recettes de gateaux") e ha prodotto questa meraviglia.
Cake di banana e cioccolato, leggero e saporito.

Brava Marcella !!





















Ingredienti
Uno stampo da plum cake da 24 cm
3 banane medie
un cucchiaio da minestra di burro
40 gr. di zucchero di canna
200 gr. di farina
1 cucchiaino da caffè di lievito per dolci
120 gr di cioccolato fondente al 70  % di cacao
160 gr di burro morbido
30 gr di miele
120 gr di zucchero velo
2 gialli d’uovo
4 bianchi d’uovo
80 gr di zucchero semolato
1 bicchiere di rhum scuro (facoltativo)


Preparazione
Pre riscaldare il forno a 180 gradi.
Imburrare ed infarinare uno stampo da plum cake di 24 cm.
Pelare le banane, tagliarle a rondelle poi farle cuocere per circa 5 minuti in una padella antiaderente insieme al burro ed allo zucchero di canna.
Rigirarle quando sono leggermente dorate e farle raffreddare.
Montare il burro morbido con il miele e lo zucchero a velo, unire i tuorli e continuare a montare finché l’impasto non e' gonfio e soffice.
In un’altra ciotola montare le chiare a neve, unendo lo zucchero semolato quando sono ancora semimontate.
Unire le chiare montate all’impasto precedente, aggiungere farina e lievito setacciati impastando con delicatezza.
In ultimo unire le banane ed il cioccolato tritato, poi versare nello stampo ed infornare.
Lasciar cuocere per 40/50  minuti circa sorvegliando la cottura.























Quando e' fuori dal forno, e prima di sformarlo, versare sul cake il rhum scuro, lasciarlo intiepidire e solo dopo sformarlo.  Farlo raffreddare su una griglia.
E’ buonissimo anche senza rhum, semplicemente cotto e mangiato!!




























E brava Marcella ! ! !


E per chi volesse farsi venire l'acquolina sul sito di Christophe Felder ecco l'indirizzo: www.christophe-felder.com

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04/11/10

Dessert davvero inusuale






















Ve l'avevo detto che era inusuale, no? Anche nella forma, sembra una rosa....
Pero' e' piaciuto a tutti quelli che l'hanno assaggiato. E anche tanto.....
Sara' che a me i dolci-dolci non piacciono. Sara' che fin da piccolo ho preferito cibi salati. Sara' che a me piace inventare nuovi piatti (per quel che e' possibile in cucina, dove l'invenzione e' spesso un inconsapevole plagio). Sara' che nei salati c'e' maggior liberta' di innovare, sia variando gli ingredienti e le loro proporzioni, sia sperimentando nuovi metodi di cottura. Sara' perche' in pasticceria bisogna rispettare dosi e tempi, cosa che io prendo quasi come un'imposizione. Sara', sara'......
Come che sia, io per la pasticceria non sono portato. Punto.
D'altra parte sentirmi dire da tutti "prova, applicati, insisti... etc" gia' mi da' fastidio. E' fin dai tempi della scuola che di me han sempre detto: "Si, bene, ma potrebbe fare di piu'". Non so voi, ma ho sempre odiato, e odio, quel giudizio.  Che ne sanno gli altri se davvero potrei fare di piu'? Io sono uno che si impegna sempre, piu' precisamente sono un maledetto perfezionista.  Piuttosto se una cosa non mi ispira non la faccio per niente.
Insomma, eccoci: siccome la pasticceria non mi ispira io non mi ci metto.

L'altro giorno pensavo che pero', impegnandomi, sarei in grado di innovare anche nel settore dei dolci. E allora ho iniziato a riflettere, impostando la ricetta mentalmente, nei giorni cambiandola piu' e piu' volte.
Io penso alle novita' della mia cucina mentre guido o, spenta la luce, mentre aspetto di addormentarmi. Nel primo caso una parte del mio cervello fa da pilota automatico e il resto fa girare le sue rotelline cucinesche. Nell'altro la mente, libera dai pensieri imposti da una linea di ragionamento cosciente,  vaga qua e la' e a volte produce ricette davvero valide. Il problema, semmai, e' ricordarle al mattino.....

Insomma ho "inventato" un dessert inusuale, sia per l'ingrediente principale che per la modalita' di consumazione. Sento gia' che alcuni grideranno "Eresia, eresia!!!", ma io non sarei io se non provassi nuove strade.  La ricetta e' piaciuta a tutti quelli che, dapprima scettici, con sopracciglia sollevate e pensando "Oh, Dio, mi tocca assaggiargliela", si sono poi sciolti in increduli complimenti.  E vaiii.

Voi che leggete concedetemi il beneficio del dubbio e seguitemi fino in fondo. Grazie.


Ingredienti per 2 persone
100 gr tagliatelle all'uovo fresche, a temperatura ambiente
5 cucchiai di zucchero
1 cucchiaio di uvetta
15-20 gr cioccolato fondente, min. 70%
1,5 dl di vermouth Martini bianco
Burro
Latte, 1 dl.
Farina

Preparazione
Ammollare l'uvetta in due terzi di vermouth (1 dl), meglio se per una notte. Recipiente coperto, per evitare la dispersione dei profumi.
Tritare finemente il cioccolato, piu' finemente di quello che si vede in foto.
Scaldare il latte, un po' piu' che tiepido.  Aggiungere 2 cucchiai di zucchero e far sciogliere bene. Preparare un roux chiaro con burro e farina.  Aggiungere il latte tiepido poco per volta e mescolando bene. In pratica una besciamella dolce. Far addensare su fuoco minimo, ma non troppo.  Il risultato non dovra' essere denso perche' servira' per legare le tagliatelle.  Dopo una trentina di secondi aggiungere l'uvetta scolata. Mescolare. Appena spento aggiungere il restante terzo del vermouth, mescolando ancora. Questo dara' profumo e leggerezza.
In una casseruola mettere poca acqua, bastante a coprire le tagliatelle piu' un paio di cm, e portarla a bollore. A quel punto aggiungere gradatamente 3 cucchiai di zucchero, mescolando bene. Subito dopo buttare le tagliatelle e portarle a cottura, mescolando (delicatamente) per non far attaccare lo zucchero.
Scolare bene e passare  nella besciamella dolce, che deve essere intiepidita a fuoco minimo. Lo scopo e' legare bene le tagliatelle, ma, attenzione, non deve venir fuori una massa appiccicosa. Iniziare con poco legante e semmai aggiungerne un po' mescolando delicatamente. Annusare: se non si sente l'aroma del vermouth se ne puo' aggiungere un poco, con prudenza. Io ho usato un vaporizzatore.
Impiattare formando una rosa e cospargerla con qualche chicco di uvetta e un po' di cioccolato tritato.
Portare in tavola caldo e osservare le espressioni.

Sulle prime la sensazione di arrotolare il dessert con una forchetta e' strana, ma dopo il primo cauto boccone vedrete che procederanno con entusiasmo.
























All'assaggio si sentono i differenti sapori: l'uovo della pasta, il dolce della besciamella, lo speziato del vermouth, il dolce dell'uvetta, il  cioccolato fondente che contrasta lievemente.
Lo ammetto, non speravo di ottenere cosi' -semplicemente- un insieme tanto armonioso.

Provatelo anche voi, buttatevi nell'avventura, sarete ripagati dai complimenti degli astanti.

A presto :)

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02/11/10

Voiello e l'olio evo - Serata fiorentina




















Qua sopra sono mostrati i due protagonisti della serata del 26/10: Voiello e l'Olio evo.
Al ristorante Convivium ci siamo ritrovati in 50, tra foodbloggers, accompagnatori e chefs. All'ingresso ci hanno consegnato un badge sul quale hanno scritto il nostro nome, ma -peccato- non il nostro avatar sui blog, per cui era tutto un cercare di identificare gli altri, con i soliti dialoghi surreali.
Immaginatevi qualcosa come: Ciao sono Acquolina, tu sei L'Omin di Pan Pepato?

I miei compagni di tavolo erano...

Giulia, deliziosa mora mediterranea che conosco dai tempi dei nostri Fettunta Party...
























 

Fabien Butazzi, appassionato di cucina e bravo fotografo. Anzi molto bravo, guardatevi solo le foto dell'ex-manicomio di Volterra: "Poesia dell'abbandono", dove maestria fotografica e occhio poetico raggiungono alti livelli (per questo lo ammiro. O lo odio? Ancora non so). Fabien ha anche vinto un award per il miglior blog fotografico.
Eccolo qua, in due immagini vagamente luciferine, definizione che lui ha apprezzato.


























(pero' me la cavo anch'io con le foto, vero Fabien?)




E ancora Giulia, qui assieme a Judy, simpaticissima californian/toscana. Judy, folgorata dalla toscana -e da un fiorentino- e' rimasta qua....






















Questo e' il suo spiritosissimo biglietto da visita...

















E per chiudere le immagini dei personaggi vi propongo Francesca (la famosa Acquolina), alla quale un anno fa in un mio contest  ho anche assegnato un premio (QUI l'elenco dei premiati).
Francesca mi ha portato in regalo un pacco di sale di Cervia, regalo adatto a un gastrofanatico quale io sono.  Grazie Francesca, non sai quanto piacere mi hai fatto.


















Comunque ecco l'elenco completo dei foodbloggers: Giovanna e Marzia di WhiteDarkMilkChocolate, Judy di Divina Cucina, Giulia di Jul's Kitchen, Jean-Michel di Cucinare Lontano (Cuoco etnico), Fabien di La Cuisine de Fabien, Audrey e George di Non solo pizza e cinema, Libera di Accanto al camino, Francesca di Acquolina, Giovanni di La vetrina del Nanni, Corrado di CorradoT (sieta gia' qui dentro!!), Claudia di Pasticci & Pastrocchi, Serena di L'omin di pan pepato, Oxana di Pane & Miele e Pamirilla di Io porto il dolce



Mentre il responsabile marketing Voiello (simpatico oltre che professionale, non ne ricordo il nome, mea culpa) ci presentava la serata, e i suoi temi, tutti noi stavamo gia' sbirciando il menu....









































Su uno dei protagonisti della serata, l'olio evo, ci ha intrattenuto Fausto Borello, appassionato maestro degustatore e spigliato intrattenitore. Prossimamente terra' a Firenze un corso, EcceOlio, durante il quale insegnera' a riconoscere e apprezzare i diversi tipi di olio (ne proporra' ben 40).

















Personalmente da quello che ci ha detto ho imparato diverse cose, per esempio che dalla raccolta delle olive al portarle al frantoio non devono trascorrere piu' di 24 ore, oppure che per conservarlo con sapore e aromi intatti, anche per alcuni anni, occorre sottrarlo all'aria e tenerlo in atmosfera sterile di azoto. E anche che i maggiori nemici dell'olio, per una corretta conservazione domestica, sono la luce, l'aria e il caldo.
Ha anche detto una cosa che ha colpito me come molti altri: se al ristorante mandiamo indietro una bottiglia perche' il vino sa di tappo, perche' non dovremmo fare lo stesso per un olio cattivo che puo' rovinarci un'insalata (o una pappa col pomodoro, o una fettunta)? E perche' allora accanto a una carta dei vini non possiamo avere una carta degli oli?
Poi ci ha guidati in una degustazione: bisogna coprire il bicchierino col campione dell'olio, scaldarlo con la mano in modo che l'olio sprigioni i suoi profumi, annusare profondamente, assaggiarne l'equivalente di mezzo cucchiaino da caffe', farlo girare il bocca per un po', aspirare dell'aria "e se vi viene da tossire, non c'e' niente di male".










Quindi Fausto Borello ci ha chiesto che impressione ne avessimo ritenuta. Io sono stato zitto, ma a me quel primo campione era sembrato un'emerita schifezza. Tanto che ho pensato "ma non e' che ci stanno prendendo tutti per il k..?"
A seguire ci hanno portato un secondo campione.  E questo era tutta un'altra storia: solido, profumato di campagna, giustamente pizzichino. Questo si, che diamine!!!
Ci e' stato svelato che il primo campione era olio da supermercato di una notissima marca.  Per carita' cristiana non ne faro' il nome. E cosi' abbiamo imparato sulla nostra pelle, o meglio: con i nostri sensi, cosa vuol dire scegliere un olio.

Piu' tardi un'amica mi ha detto che un suo parente ha lavorato in quella ditta e che li' non e' mai, dico mai, entrata neanche un'oliva che fosse una!!!   Ma invece tanti, tanti camion cisterna da tutte le parti d'Italia e del Mediterraneo. Lo stabilimento miscelava, imbottigliava e etichettava. E faceva tanta pubblicita'.





Finite le spiegazioni sull'olio il personale del ristorante ci ha servito l'antipasto, eccolo...






















Certo che per un ristorante accontentare dei foodbloggers e' un compito davvero ingrato. Tutti, dico tutti, mormoravano che LORO "lo facevano meglio". Eh, si, non c'e' peggior cliente di quello che crede di sapere gia' tutto....
Nelle coppie foodblogger-accompagnatore si riconoscevano subito i ruoli: l'accompagnatore mangiava, beato, mentre i food blogger fotografavano il piatto, e da piu' angolazioni. All'arrivo di ogni piatto in sala era tutto un "Click!" "Click!" "Click!".




Poi e' venuto lo chef Voiello, Marcello Zaccaria, un simpatico massese (Marina di Massa, per l'esattezza), che ha brevemente introdotto i tre primi che sarebbero stati cucinati e serviti. Con la scarsa luce che c'era non ho neanche provato a fotografare lo chef, la foto che segue viene dal sito Voiello (e cosi' il copyright e' rispettato).



















Dopo le sue presentazioni lo chef si e' precipitato in cucina a preparare i piatti.



Ed ecco il primo piatto, pasta mista su passatina di tre legumi: ceci, fagioli cannellini e fagioli borlotti.






















Passata giustamente densa (osservate il cucchiaio che non affonda), pasta cotta al punto giusto.   La pasta mista non e' stata cotta dentro la passata di legumi, ma separatamente e quindi adagiata sulla passata. I legumi, anche loro,  erano stati cotti separatamente, in tre pentole diverse, poi frullati e uniti in padella al solito battuto di pancetta e odori.  L'olio aggiunto alla fine ha esaltato tutti i sapori.
Pero', caro Zaccaria, mi sei simpatico ma devo farti un'appunto (altrimenti che foodblogger sarei?): c'era troppo rosmarino e il suo sapore mascherava e copriva i sapori della passata.
In ogni caso va riferito che che i piatti sono tornati in cucina assolutamente ripuliti!!



Ecco il piatto successivo, le penne piccole rigate in crema di broccoli e acciuga.
























Ci hanno anche detto che in Toscana il formato di penne che va per la maggiore e' quello piccolo: curioso, davvero.
E qui caro Zaccaria, altro appunto (della serie: i foodbloggers sono insopportabili): le penne erano assolutamente scotte. Tutto buono, per carita', e l'olio aggiunto a crudo era una delizia, ma da uno chef che lavora per un produttore di pasta ci si aspettava di meglio.
O forse sono io che -da buon figlio del Sud- preferisco che la pasta sia croccante...
Pero' sia messo agli atti che i piatti sono stati coscienziosamente ripuliti!!!



Infine gli spaghettini aglio olio e peperoncino, con pomodorini confit e pangrattato tostato.





















Questi erano OTTIMI: serviti perfettamente al dente, i sapori del condimento erano molto equilibrati e il piccante non era eccessivo (il troppo piccante e' segno di dilettantismo). Porzioni piccole, peccato.
Ma spaghetti speciali, ne avrei mangiati due piatti. E quel pane tostato.... Bravo Zaccaria, cosi' si fa!!!!
Lo chef alla fine e' tornato in sala e ci ha detto che aglio e peperoncino non sono stati soffritti in padella, ma che invece -per conservare tutti i sapori- erano stati messi aglio, peperoncino e prezzemolo a insaporire l'olio in una teglia in forno, per un'ora circa, a bassa temperatura, 65 gradi. In questo modo l'olio ha assorbito sapori e profumi, senza friggere. Ripeto: risultato OTTIMO.

Ha anche detto una cosa interessante, e cioe' che le foglie di prezzemolo in cottura fanno diventare amarognoli gli altri ingredienti con i quali cuoce. Tutti i foodblogger a questo punto hanno pensato: eh eh, lo sapevo...
E qui il buon Zaccaria ci ha stupiti, dicendo che nelle cotture il prezzemolo va usato solo come gambo tritato!! Il gambo da' il sapore di prezzemolo ma non rende il resto amaro, mentre le foglie devono essere aggiunte a crudo e fuori dal fuoco. E bravo Zaccaria!!

Il quale Zaccaria, poi, si e' scusato per la pasta un po' scotta, per via che le cucine erano al piano di sotto e che tra impiattamento e servizio il tempo passa... La dichiarazione e' stata segno di professionalita'.

Io, dovendo alzarmi molto presto al mattino dopo, ho dovuto lasciare il convivio prima che portassero il castagnaccio, che e' uno dei pochissimi desserts sui quali si puo' usare l'olio.

Nonostante la mia fuga anticipata, accompagnata da occhiate preoccupate dello staff, il responsabile marketing si e' fatto premura di accompagnarmi fino all'uscita e di farmi avere gli omaggi Voiello previsti. BRAVO.

Tra gli omaggi c'era anche un tubo contenente spaghettoni a lunghezza intera (60 cm). Il tubo era provvisto di cinghia a tracolla e uscendo mi sembrava di portare un missile RPG....

Mentre salutavo ho intravisto Juls e Judy che stavano davanti a una telecamera, pronte (ma nervose) per essere intervistare. Il filmato sara' online sul sito Voiello tra pochi giorni. Sono proprio curioso di vedere cosa e' venuto fuori...


Grazie Voiello, serata MOLTO interessante



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