15/12/15

Anna Maria e la torta Fujiyama




















E' venuta cosi', abbiamo allora aggiunto un po' di neve alla sommita'.
Il nome e' venuto da se'.
La mia Santa Donna ha rifiutato ogni aiuto del sottoscritto e si e' messa a scartabellare diversi libri di cucina.  Ha scelto questo dolce di origine sarda, ha apportato le sue variazioni e ha prodotto questa bella torta a base di ricotta.
E' venuta davvero buona, golosa e leggera.  Le due cose, evidentemente, non sono in antitesi.

































Ingredienti
Uno stampo da 22 cm
300 g di ricotta fresca
300 g di farina 00
200 g di zucchero semolato
3 uova
Scorza grattugiata di un limone
Un pugnello di pinoli
un pugnello di pistacchi tritati
16 g lievito per dolci (difosfato disodico+carbonato acido di sodio)
burro per lo stampo
zucchero a velo per la "neve"

Esecuzione
Accendere il forno (per noi ventilato) a 170 gradi.  Imburrare e infarinare lo stampo.
Separare tuorli e albumi. In una ciotola capiente mescolare con cura a cucchiaio zucchero e ricotta, aggiungere i tuorli delle uova e amalgamere bene.
Aggiungere scorza di limone, lievito, la farina setacciata e continuare a lavorare.
Aggiungere pinole e pistacchi e amalgamare.
Montare a neve fermissima gli albumi e quindi aggiungerli all'impasto, mescolando da sotto in su.
L'impasto risultera' comunque piuttosto sodo, va bene cosi'.
Versare l'impasto nello stampo e infornare per 40 minuti.
Al termine eseguire la prova stecchino e, se del caso, continuare la cottura.
In cottura si formera' la classica cupola.
Lasciare raffreddare, sformare e cospargere di zucchero a velo la cima della torta.
La Santa Donna era molto soddisfatta.




















  Dura un paio di giorni, se dura.

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21/11/15

Ravioli al pecorino fondente, conditi con genovese al forno al sapore di pernice -- MTC 52

















Per questo MTC 52 la vincitrice di MTC 51, Monica Costa, ha dettato il tema del mese: pasta fresca ripiena condita con sugo a lenta cottura, tipo i "raieu co-u tuccu" genovese.
Io, nella ricerca di qualcosa di originale, ho prodotto i "Ravioli al pecorino fondente, conditi con genovese al forno al sapore di pernice".





















Ecco la pernice, che, dopo aver insaporito e condito la genovese, viene servita come secondo, contornata dall'avanzo del condimento.





















Ma procediamo con ordine.   Per l'intanto riportiamo il banner di questa sfida 52




















Questo piatto ha diverse particolarita': per esempio il sugo, che e' molto simile a una genovese, ma a differenza di questa, che richiede una lunga cottura in casseruola, e' stato cotto in forno per quasi quattro ore a bassa temperatura.
Altra particolarita' e' che, similmente a come viene realizzata la genovese a Napoli, contiene della carne.  Ma non la solita carne, bensi' della cacciagione, in questo caso una pernice.  Preventivamente spennata, naturalmente.
























Infine, il ripieno dei ravioli e' del formaggio pecorino stagionato, che fonde durante la cottura e cola nel piatto -e in bocca- quando i ravioli vengono rotti.

La cottura del sugo in forno e' pochissimo nota in Italia, ho visto un esempio di cottura di due-tre ore, fatto con sole verdure, in una trasmissione di Benedetta Parodi.   Ma non era una sua idea, era del cuoco peruviano che la supportava.   Credo che quella ricetta di sole verdure si trovi su Youtube. 
Il vantaggio della cottura in forno e' che ci si puo' dimenticare di sorvegliare la cottura, lo svantaggio e' che tutto va dosato all'inizio, prima di infornare.
In ogni caso nessuno vieta di aprire il forno e aggiustare le cose se ce ne fosse bisogno.
Se la durata della cottura a bassa temperatura fosse superiore alle quattro ore si potrebbe pensare di infornare la sera, prima di andare a dormire, e risvegliarsi al mattino con il sugo pronto.  Sarebbe allora un "sugo notturno".




















La genovese di questo piatto comunque e' insaporita da carne di cacciagione, di una pernice.  Cipolle e pernice cuociono assieme e ognuna cede all'altra sughi e sapori.  L'insieme e' qualcosa da ricordare, di piu', di unico.

La genovese insaporita di cacciagione andra' a condire i ravioli, che nel piatto cederanno un ripieno di pecorino stagionato che cola, mentre la pernice stessa sara' servita come secondo, adagiata su un letto di genovese.

Una nota sulla "genovese": non si sa precisamente da dove derivi il termine, dato che la ricetta nasce a Napoli nel quindicesimo secolo, con lo scopo sia di condire la pasta, sia di fornire la carne per il secondo.  Forse in una trattoria sul porto, forse tenuta da un oste genovese.  O forse, dato che la cipolla e' molto presente nella cucina della Svizzera, deriva da un sugo "à la Genève" (Ginevra) portato dai mercenari di quei luoghi.   Certo e' che questa ricetta, quale che ne sia l'origine, risale ad almeno 500 anni fa.
Anzi di piu' di 500 anni.  Durante le ricerche per questo MTC 52 (e non si dica che MTC e' un banale contest, e' in realta' una vera scuola) mi sono imbattuto in una ricetta addirittura del trecento, riportata nel LIBER DE COQUINA, un ricettario in latino scritto da un anonimo alla corte Angioina di Napoli.
La ricetta e' descritta al numero 66....

66. -- De tria ianuensis : ad triam ianuenssem, suffrige cipolas cum
oleo et mite in aqua bullienti, decoque, et super pone species; et colora
et assapora sicut uis. Cum istis pones ponere caseum grattatum uel
incisum. Et da quandocumque placet com caponibus et cum ouis uel
quibuscumque carnibus.


Il titolo si riferisce alle tre fasi della genovese, o forse anche anche alla pasta, dato che all'epoca la pasta veniva anche chiamata "Trij".   Ancora oggi in Salento si cucina una pasta e ceci chiamata "Ciceri e tria".


Veniamo alla ricetta di questo piatto.   Dosi per 4 persone.


Ravioli

Ingredienti
340 g di farina 00
60 g di semola rimacinata
4 uova
un pizzico di sale
Pecorino stagionato

Esecuzione
Impastare per una quindicina di minuti, o fino a quando l'impasto e' omogeneo e lucido.  Far riposare al caldo per una mezz'ora, quindi spianare col mattarello, dividere in parti e passare ognuna di queste alla macchinetta nota come "Nonna Papera".  Io ho tenuto lo spessore piuttosto alto, tra i due e i tre millimetri perche' la ricetta e' un po' rustica, tra pecorino e cacciagione. Tagliare del pecorino stagionato a cubetti piccolissimi, o, megio, grattarlo.
Con un coppapasta ottenere dei cerchi, quindi con l'apposito attrezzino (benedetto!) formare delle mezzelune, imbottendole con abbondante pecorino.  Spolverare con semola rimacinata.


Genovese in forno con pernice

Ingredienti
600 g di cipolla ramata, meglio se di Montoro
1 carota sui 10 cm
circa 5 cm di gambo di sedano
6 cucchiai di olio e.v.o.
mezzo bicchiere di vino bianco
mezzo bicchiere di acqua
1 cucchiaino di sale
1 pernice spennata e sventrata

Esecuzione
Tritare finemente cipolle, sedano e carota.  Condire il trito con l'olio e il sale, mescolando.
Fiammeggiare la pernice e aprirla, per far cuocere bene anche l'interno.  Io l'ho aperta sul dorso, per lasciare il petto intero, ma nessuno vieta di aprirla dalla parte del ventre.





















In una teglia da forno sistemare la pernice col petto in alto, contornarla e coprirla con tutto il trito, gia' condito.  Si vedono emergere le zampette.  Il battuto non e' tritato cosi' fino come dovrebbe, ma la prossima volta faro' meglio.

























Versare ai lati dell'insieme vino e acqua, coprire con foglio di alluminio e cuocere a forno caldo, 220 gradi, per un'ora.
Questa prima fase di cottura e' quasi al vapore e il suo scopo e' ammorbidire sia le cipolle che la pernice, che e' di carne soda.
Dopo un'ora togliere l'alluminio, togliere la pernice, mescolare bene e riadagiare la pernice ricoprendola con il trito rimescolato.
Abbassare la temperatura del forno a 90 gradi e far andare almeno tre ore, dando una mescolata all'incirca ogni ora, dal basso verso l'alto.
Se il trito sembrasse troppo secco si puo' aggiungere un po' d'acqua, ma poca, rimescolando.  Quasi alla fine regolare di sale, volendo anche di pepe.

Cuocere i ravioli in acqua molto calda, cosi' che il pecorino all'interno si sciolga, scolarli con una schiumarola e condirli con la genovese calda e profumata.

















Servire la pernice a parte, contornata della genovese avanzata.




















All'assaggio si sentono sia il dolce delle cipolle che il deciso sapore della pernice, un insieme molto, ma molto saporoso.
Mordendo i ravioli, belli corposi per via dello spessore della pasta, si sente in bocca il pecorino stagionato, che, cremoso, tenta di colare.  E' un sapore che lega benissimo con i sapori un po' rustici di cacciagione e genovese.
Una delizia che si vorrebbe non finisse mai.

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23/10/15

Dolce ai tre spiriti, un Drizzle Cake per "DolciDiVini"


Questo dolce partecipa al contest Dolci DiVini di Dolcemente Pisa 


























































Veramente non volevo presentarlo, questo dolce, perche' raramente sono rimasto cosi' deluso.
E' brutto, questo dolce.   E' un trattato di teratologia.    Lo ammetto.
Ho pensato: "Se lo presento mi rovino l'immagine.  Se lo presento poi dovro' uscire soltanto di notte, camminare rasente ai muri e col bavero rialzato".
Pero' e' buono.   Tanto.    Con tre diversi aromi alcolici che si fondono con quello del corpo del dolce.
Sicuramente un pasticcere saprebbe tirarci fuori un dolce piu' presentabile.
Ma io non ho quel talento.  Come si dice in Toscana "Non sono trombato per i dolci".
Vabbe', che il dolce e' buono (anzi, secondo me, speciale) l'ho gia' detto, quindi provero' a descriverlo meglio che posso.

Il dolce e' della famiglia dei Drizzle Cakes, ossia dei dolci che dopo cotti vengono spruzzati o leggermente imbevuti di liquore.
In questa mia versione i liquori usati sono stati tre: nel corpo del dolce e' stato usato del whisky mediamente torbato (non troppo torbato, per non coprire gli altri sapori e aromi), nei due laghetti sono state colate due creme pasticcere, la gialla e' aromatizzata al Vermouth, la rossa con l'Alchermes.
Sono due liquori a bassa gradazione alcolica molto aromatici, un po' vintage nell'immaginario collettivo, e percio' poco considerati, ma in grado di apportare sapori e profumi ben speziati.
Come si vede dalle foto l'idea era di rappresentare un panorama collinare con due laghetti.  L'dea, appunto, la realta' si e' dimostrata diversa.



Ingredienti
Un cerchio da 24 cm
160 g di zucchero semolato
95 g di burro normale (a temp. ambiente)
95 g di burro salato (a temp. ambiente)
200 g di farina 00 W 170
240 g di uova intere (a temp. ambiente)
Buccia grattugiata di mezzo limone
8 g di lievito in polvere, tipo Pane Angeli, per capirsi
150 g di Whisky mediamente torbato
75 g di Vermouth, non dry
75 g di Alchermes
2 coppapasta sugli 8 cm

NOTE
1  -  Lo scavo dei due "laghetti" poteva essere realizzato semplicemente spingendo nel dolce gia' cotto i due coppapasta.  Ma con si sarebbero prodotte le "colline".   Invece colando l'impasto intorno ai due coppapasta gia' posizionati dentro il cerchio, e infornando tutto insieme, si sarebbero formate in cottura delle zone di calore diverso (vedere vicino ai bordi) e quindi lievitazioni in cottura di ampiezza diversa.  Da cui le famose "colline".

2 - Meta' burro e' di qualita' salata.  Usando questo tipo di burro si evita che aggiungendo del sale in grani si formino delle "isole" di impasto piu' o meno salato, in quanto il sale aggiunto in grani puo' non sciogliersi come dovrebbe.


Esecuzione
Mettere nella planetaria burro, zucchero e buccia di limone e con la frusta a K far montare almeno 5 minuti a velocita' sostenuta, o almeno finche' non si ottiene il composto bianco.  Sempre a planetaria funzionante aggiungere meta' del whisky e  gradualmente le uova e attendere che si incorporino bene.  Aggiungere gradualmente farina e lievito e far andare almeno tre minuti,
Mettere un foglio di carta forno in una teglia e imburrarlo.   Imburrare l'interno del cerchio e metterlo sulla carta forno.  Imburrare l'esterno dei due coppapasta. Posizionare i coppapasta dentro il cerchio.
Colare l'impasto dentro il cerchio, intorno ai coppapasta.  Livellare l'impasto.
Infornare a 180 gradi (ventilato) per 35 minuti, lasciandolo poi ancora qualche minuto fino a doratura completa.  Si vedranno, ben formate, le due "collinette".
Nel frattempo preparare due diverse creme pasticcere e aromatizzarle, aggiungendo in una il Vermouth e nell'altra l'Alchermes.
Appena il dolce e' sfornato bucherellare con uno stecchino la superficie del dolce e quindi spargerci sopra il rimanente whisky.
Far raffreddare, sformare il dolce dal cerchio ed estrarre i due coppapasta.   Nei due fori versare le due creme aromatizzate.
Volendo si puo' conservare in frigo, senza scendere sotto i 7 gradi.
























All'assaggio, a seconda delle parti scelte, si apprezzano sapori e profumi diversi, dalla torba del whisky, che si sente, ma non sovrasta quello del corpo del dolce, al Vermouth della prima crema pasticcera, all'Alchermes della seconda crema pasticcera.
I tre sapori e profumi alcolici si completano bene l'un l'altro e legano a perfezione con quelli del corpo del dolce.   Una delizia.

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19/10/15

Pollo, farcito di autunno toscano - MTC 51

















Questo mese la sfida MTC numero 51 ci chiede il Pollo Ripieno.












La vincitrice della sfida precedente, Patrizia Malomo, la Patty di Andantecongusto, ha scelto il tema e stabilito le regole.
Uno pensa: facile, si compra un pollo disossato e.... E invece no, Patty vuole che impariamo a disossare il pollo, chiedendoci di impararne la tecnica.  Siccome la Patty ha il cuore buono ci ha spiegato per bene come fare, anche inserendo delle belle fotografie.
Naturalmente, siccome il buon cuore non viene mai ricompensato, gli sfidanti, spaventati dalla difficolta' del disosso, l'hanno tutti coperta di "te possino".
Per chi era abituato ad andare dal macellaio (vorrei un pollo disossato) si e' trovato a penare, e non poco.  Io, per esempio, prima di essere contento del risultato, ho massacrato tre polli.   Il primo pollo non aveva la forcella (quella che gli americani chiamano wishbone, osso dei desideri),o almeno io non l'ho trovata, e nella ricerca (eppure ci deve essere!) ho tagliuzzato il pollo in lungo e in largo.  Tra il nervoso che montava e l'inesperienza che gia' c'era il pollo alla fine era da buttare.
Allora ho voluto riprovare e ho comprato un galletto livornese ruspante e giovincello.

















Ci avevano messo in guardia sui polli ruspanti perche' poveri di carne, e la poca che c'e' e' anche dura.  Ma io quando ho visto zampe e bargigli non ho resistito.
Alla fine del disosso mi sono dovuto arrendere all'evidenza, la carne attaccata alla pelle era cosi' poca che il risultato a vederlo sarebbe stato "un ripieno senza pollo".
Allora si riprova.  Non per niente il sottotitolo del mio blog e'  "Provando e riprovando".   Anche se non in senso galileiano, ma proprio in quello di "non mi arrendo".
Il disosso del terzo pollo e' andato benissimo, la forcella wishbone c'era ed e' stata facile da estrarre.  Il resto, ammaestrato dall'esperienza dei primi due tentativi e' stato agevole.
I primi due polli e la carcassa del terzo sono stati gettati via?   Nemmeno per sogno, resti e carcasse sono stati usati per il brodo. Adesso abbiamo brodo di pollo in abbondanza.

OK, adesso ho il pollo disossato.   Ho fatto il piu'?    Neanche per idea, adesso devo pensare a un ripieno buono e se possibile diverso da quello degli altri sfidanti.
Avrei potuto stupirvi con effetti speciali, tipo foie gras e tartufo, ma mi son detto "non allargarti" e ho invece pensato a un ripieno autunnale.
Quindi ho cercato un insieme di ingredienti che tra loro fossero equilibrati e che richiamassero l'autunno toscano, e quelle domeniche quando fuori piove e fa freddo e la famiglia si avvicina alla tavola pregustando un pranzo buono e caldo.
In breve: zucca, i fegatini del pollo, brandy (i' cognacchino), cavolo nero, mostarda di frutta senapata. Non quella mantovana, di sole mele o pere, ma quella cremonese, mista e anche bella colorata.
Questa mostarda, scelta per creare un contrasto piccantino col dolce della zucca e con l'amarognolo del cavolo nero, mi ha fatto penare.
Siccome Natale e' ancora lontano (secondo i negozianti, ma ci sono appena due mesi) nessuno ce l'aveva. "E' ancora presto, provi piu' avanti".
Maledetti, mica capiscono cosa vuol dire l'ansia da MTC....
Alla fine l'ho trovata da Eataly, raccomandata da Slow Food e decantata come speciale.  A parte il costo (un botto, ma non vogliamo aiutare i piccoli produttori e nel contempo ingrassare Eataly?) lo speciale consisteva nel fatto che sapeva molto di affumicato (?) e poco di senape.  Appena posso la mostarda senapata me la faccio da me.
Come contorno presentero' delle quenelles di risotto allo zafferano (bello invernale, vero?), e dei chicchi di melograno.   La salsa richiesta sara' a base di fondo di cottura dei fegatini e tanto (tanto!) brandy fiammeggiato.
Sapori e profumi saranno tanti: quello del pollo arrostito, quello dei fegatini, della zucca, del brandy, quello del risottino allo zafferano e quello della melagrana.
Il risultato e' stato speciale, ma per davvero.

Ingredienti
Un pollo di 1,2 - 1,5 Kg
700 g di zucca gialla, pesata sbucciata.
250 g di fegatini di pollo
2 bicchieri (non bicchierini) di brandy, o cognac
2-3 foglie di cavolo nero
Mezzo vasetto di mostarda di frutta alla senape forte, sgocciolata
150 g di riso
1 bustina di zafferano
Brodo di pollo (che avevo in abbondanza, come ho gia' detto)
Chicchi di mezza melagrana
Una puntina di peperoncino
Farina q.b.

Esecuzione

Disossare il pollo, rivolgendo spesso il pensiero alla Patty.
Si inizia.....



















Due aperture, di due diversi polli













































Quel che resta
























Ecco il pollo disossato.  In questa foto cosce e ali sono ancora da disossare, l'ho fatto subito dopo.




















Mettere a bollire le foglie di cavolo nero, finche' non sono bene ammorbidite.
Sbucciare la zucca e tagliarla a dadi di circa 3 centimetri.   Fare bollire questi dadi finche' infilzati con una forchetta non risultano morbidi.   Scolare e passare al minipimer.   Assaggiare e salare.   Mettere il frullato di zucca in padella e aggiungere della farina a pioggia, mescolando continuamente.   Far andare finche' la crema di zucca si addensa fortemente.
Pulire i fegatini e tagliarli a pezzi di circa tre centimetri.  Saltarli qualche minuto in padella con un paio di cucchiai di olio finche' non siano induriti, ma non troppo.   Ricordarsi del detto toscano "Baccala' fegato e ova, piu' che coce e piu' che assoda".   Serve che i fegatini siano un po' induriti perche' adesso vanno trasferiti su un tagliere e battuti a coltello molto finemente.   Il passaggio in padella per renderli piu' duri serve proprio per facilitare la battuta a coltello.
Rimettere sul fuoco la padella e farla scaldare bene, poi ritrasferirci il battuto e far andare un minuto, mescolando.  Appena il battuto e' caldo versare il primo bicchiere di brandy e farlo fiammeggiare.   Quando la fiamma si esaurisce versare il secondo bicchiere di brandy e fiammeggiare anch'esso.  A fiamma spenta scolare il battuto, conservando a parte il liquido rimasto in padella.
Aggiungere il battuto cosi' profumato e insaporito di brandy alla crema densa di zucca e mescolare bene.
Aprire bene il pollo disossato e spalmare questa crema di zucca e fegatini. Infilare il ripieno anche nelle cavita' di cosce e ali, premendo con la punta delle dita,





















Adesso prendere le foglie di cavolo nero, tagliarle a misura del pollo in modo che non escano dai bordi e sovrapporle leggermente, in modo che chiudendo il pollo si arrotolino naturalmente.
Scolare la mostarda di frutta senapata contenuta grosso modo in mezzo barattolo e tagliarla e pezzetti di circa un centimetro.
Mettere i pezzetti di mostarda lungo le foglie di cavolo nero.










































Chiudere il pollo facendo attenzione che le foglie di cavolo si arrotolino sopra alla mostarda di frutta senapata.
Il pollo una volta chiuso non dovra' risultare gonfio e teso, ma morbido.  Questo perche' in cottura il ripieno si dilatera' e potrebbe rompere la chiusura e spargere il ripieno. 
Sovrapporre leggermente i bordi e cucire con un ago robusto e filo da imbastire.
Controllare che tutto sia ben chiuso, in special modo punta di ali e cosce.  Se del caso cucire anche quelle.


























Infornare a forno caldo a 180 gradi per circa 45 minuti.   Dopo 20 minuti circa bucare con un ago il pollo in vari punti, per facilitare l'uscita del vapore formatosi all'interno e scongiurare l'apertura delle cuciture causata dall'aumento di pressione.     Se accadesse il pollo e' perso.
Mentre il pollo cuoce preparare un normale risotto allo zafferano, avendo l'avvertenza di tirarlo molto asciutto e di non mantecare alla fine con burro o formaggio.   Il risotto dovra' risultare molto asciutto perche' si dovranno con esso formare delle quenelles, che dovranno mantenere la forma.
Per la salsa, il gravy, con cui si dovra' nappare il pollo una volta affettato, riprendere il liquido avanzato dalla fiammeggiatura dei fegatini, farlo scaldare, allungarlo con del brodo e aggiungere farina a pioggia mescolando continuamente.
Sul momento questa salsa deve sembrare liquida, o appena densa, ma raffreddandosi si addensera'.  Comunque al momento di servire questa salsa andra' intiepidita.
Il pollo una volta cotto va tagliato a fette di circa un centimetro.  Le fette vanno nappate con la salsa al brandy, contornate di quenelles di risotto allo zafferano e servite assieme a dei chicchi di melagrana.





































































Gia' a vedere l'insieme dei colori e ad aspirare tutti i profumi ci si sente molto meglio, quasi che si fosse nei giorni di Natale.
All'assaggio, e bisogna portare insieme alla bocca un po' di tutto, si e' sopraffatti dai sapori e dagli aromi.   Dal pollo arrosto, alla zucca insaporita dai fegatini al brandy, al leggero amaro del cavolo nero, al dolce e piccante della mostarda senapata, alla salsa al brandy, al risottino allo zafferano, alla melagrana.
Quanti contrasti, quanti profumi, quanto equilibrio.

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11/10/15

Lesso rifatto coll'ova




















Chi e' toscano, e in particolare fiorentino, o del contado, conosce benissimo questa ricetta di riciclo: il mitico "Lesso rifatto coll'ova".
Quando si fa il bollito (per i toscani "il lesso") e si finisce il brodo, e magari si mangia anche un po' di lesso "barzotto", e' inevitabile che ci siano degli avanzi di carne.  Nota per quelli "di fora" (i non toscani): il lesso e' detto barzotto, o bardotto, quando non e' del tutto cotto ed e' tirato fuori dalla pentola e mangiato cosi', bollente, con sopra un po' di sale. 
Quando la carne e' stata bollita lentamente partendo ad acqua fredda, con lo scopo di fare del buon brodo, tutto il buon sapore va, appunto, nel brodo e il lesso che resta risulta un po' meno saporito del normale.
Se questo lesso avanza lo si deve cucinare aggiungendo sapori:  o se ne fanno polpette, o si rifa' con le cipolle, o coi peperoni, o, eccoci, con l'uovo.
L'ho rifatto oggi e me lo sono gustato, bello caldo e cremoso.  Un sapore che mi ha riportato bambino quando mia madre in 10 minuti ci metteva a tavola.   Ci aveva raccontato che nella sua famiglia non si largheggiava eche la sua mamma -la nonna Angela- per aiutare il bilancio lavorava in casa come "aggiuntatora".  Ossia cuciva a macchina le scarpe o le borse, per aggiustarle.   Piu' lavorava e piu' poteva quadagnare quei pochi, quindi faceva "mangiari svelti", usando fino agli ultimi avanzi.
Tempi di magra, anche perche' mio nonno, falegname, lavorava si e no, risultando inviso al regime del ventennio di prima della guerra.
Altri tempi, oggi il lesso si rifa' coll'ova per mangiare qualcosa di nuovo.

Ingredienti, per persona
100 g di lesso
1 o 2 spicchi di aglio
2 cucchiai di olio e.v.o.
1 cucchiaio da cucina di conserva di pomodoro
1 uovo
1 punta di peperoncino
Sale

Esecuzione
Ripulire il lesso dal grasso in eccesso, lasciato li' per dare piu' sapore al brodo, e tagliarlo a pezzetti piccoli, diciamo sui 2 cm.
In una padella mettere l'olio, i due spicchi di aglio sbucciati e interi e la punta del peperoncino.  In Toscana i nostri vecchi -e i vecchi dei nostri vecchi- specie se contadini, chiamavano il peperoncino "zenzero", quindi se trovate questo ingrediente in qualche libro davvero vecchio di ricette toscane significa solo peperoncino.















Far andare a fuoco lento, con lo scopo di far insaporire l'olio.  Quando l'aglio inizia a prendere colore aggiungere il lesso e farlo andare, sempre a fuoco basso, per un cinque minuti, mescolando spesso.
















A quel punto mettere un cucchiaio da cucina di quel pomodoro conservato in barattolo da questa estate, quello delle grandi caldaie e dei barattoli messi a bollire.   Cosi', per aggiungere un po' di sapore.
Far andare per un paio di minuti, mescolando un paio di volte.
Nel mentre sbattere un uovo e salarlo bene.
Versare l'uovo sbattuto nella padella e far andare piano finche' non inizia a rapprendersi.   A quel punto mescolare velocemente lesso e uovo, in modo che risulti un insieme cremoso.  Se si aspetta troppo verra' fuori una frittata.  Ricordiamoci il detto toscano "Baccala' fegato e ova, piu' che coce e piu' che assoda".   L'uovo deve restare cremoso.















L'ho fotografato ancora nella padella, in memoria di quando nostra madre ce lo metteva davanti cosi', bello caldo.
Era una vera goduria tirarlo su con la forchetta e l'aiuto di un pezzo di pane.  Caldo e profumato.


















All'assaggio, mentre ci si palleggia il boccone caldo da una parte all'altra della bocca, si sente il sapore della carne profumata dall'aglio e dal poco peperoncino.  E su tutto il pieno sapore di un uovo cotto ma non troppo, caldo e cremoso.
Piatto semplice, svelto e goloso.

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21/09/15

Croissant per MTC 50, con le "Variazioni Corrado"

























Appuntamento mensile di MTC rispettato.   Il tema era "Croissant sfogliato".
Per un pigro come me affrontare le novita' riesce piu' faticoso che ad altri.   Per me, allora, era piu' un croissant sVogliato.
Comunque sia eccomi qua a tentare.   Ho fatto piu' prove, sperimentando l'effetto di alcune variazioni sul risultato finale.  Il noto metodo anti-scientifico "What if...".
Gia' immagino l'importo sulla bolletta ENEL.


In tutto il processo ho imparato alcune cose interessanti.
Per esempio in una di queste prove durante la cottura nascevano rivoli di burro fuso che sembravano torrentelli di montagna.   Il risultato e' stato ottimo, anche se i croissants sono venuti un po' piu' croccanti di come mi aspettassi.  La causa era probabilmente da ricercare in una imperfetta lievitazione.

Oppure la separazione tra uno strato e l'altro, come nella foto qua sotto






















In questo caso la causa e' stata la farina sul piano di lavoro.   Semplicemente, e stupidamente, ho infarinato in eccesso il piano di lavoro dove ho steso la sfoglia per stirarla e poi tagliarla a triangoli.
Chiaro che arrotolando una sfoglia che ha un eccesso di farina su un lato, quell'eccesso abbia impedito una corretta coesione degli strati e abbia anzi agito da isolante in cottura, con i risultati visibili in foto.

O anche l'eccesso di spennellature di uovo nelle fasi precedenti alla messa in forno.   Il risultato e' stao questo
























Subito dopo aver sentito il calore del forno, che peraltro non era piu' alto del normale, quell'uovo ha iniziato a formare bolle e a carbonizzare.
Quindi imbrogliando l'ansioso autore (sempre io) e facendogli togliere la teglia dal forno anzitempo.  Poi, siccome l'interno non era ancora cotto, ho dovuto reinfornare per completare la cottura, ma ormai il danno era fatto.
Nelle successive prove ho spennellato pochissimo uovo e per una volta sola e, almeno ai fini delle mie prove, il risultato e' parso migliore.

Ancora, riguardo alle farine: ho fatto diverse prove con diversi mix di farine, ma il risultato migliore l'ho ottenuto con farina 00 W 350 della Garofalo.  Piccole aggiunte di farine a piu' bassa W, o anche di farine multicereali (della serie: proviamole tutte), non hanno aggiunto qualita'.  Da queste prove ho imparato che per una buona sfogliatura bisogna usare farina W 350 o 400, e cosi' faro' nel futuro.

Infine per l'uso del forno: per il futuro non partiro' con temperature alte per poi abbassarle.   Ho verificato che partendo a 190-200 e attendendo che il croissant inizi a colorire, per poi alzare la temperatura a 230 per poco tempo, si produce una crosticina croccante da estasi.   Chiaramente nella prima fase a temperatura non alta si ottiene una eccellente cottura all'interno, mentre la successiva fase serve per l'ottenimento di una perfetta superficie croccante.
Dopo tutte queste prove credo che uno dei prossimi giorni un qualche dirigente ENEL mi suonera' alla porta e mi stringera' la mano, congratulandosi: "Ce ne vorrebbero di piu' di clienti cone Lei".

Comunque sia, la ricetta consigliata da Luisa Jane Rusconi  (a.k.a. Lady Jane) si e' rivelata ottima e di semplice realizzazione, anche per chi come me e' negato per la pasticceria (mia moglie dice che sono "spreciso"). 
A parte le lunghe pause di riposo in frigo, che imponevano una programmazione a incastro con altri impegni, tutto si e' svolto come previsto.

Per ottenere questa versione che presento alla sfida MTC 50 ho pero' introdotto alcune modifiche alla ricetta consigliata (altrimenti io non sarei io), ma su una cosa sono stato irremovibile: niente ripieno.   Assolutamente.
Quando dicevo che avrei provato a fare dei croissant i miei interlocutori ribattevano "Bene! E cosa ci metterai dentro?".  Ma come, pensavo io, tanta attenzione alla scelta di ingredienti eccellenti, tanta attenzione ai profumi, tanta attenzione agli equilibri di sapori, e poi chi addenta il croissant sente solo il ripieno, e dice "buono" pensando a quello!.
Niente da fare, dico io, il mio croissant deve essere giudicato nella sua pura croissantezza.   Altrimenti posso comprare al supermercato una sfoglia pronta e imbottirla di creme o marmellate pronte (anatema!), e piu' sono saporite e meglio e'.

Stabilito, fermamente, che puntero' alla sostanza ho pensato pero' a cosa fare per proporre una "mia" versione.
Tralascio la descrizione degli onanismi mentali e riassumo: ho introdotto sei variazioni (le "Variazioni Corrado", sul "Croissant Theme").
1 - Ho usato un mix di farine, utilizzando anche un 10% di farina con W inferiore, scelta che per il futuro pero' non rifaro'. 
2 - Burro: salato.   Ho usato il burro salato della danese Lurpak.
3 - Nell'impasto ho aggiunto qualche grammo di Vermouth bianco, cosi' che le spezie in esso contenute lasciassero i loro aromi dopo che in forno ne fosse evaporata la parte alcolica.  Grande intuizione, sono molto soddisfatto del risultato.
4 - Ho leggermente aumentato la dose di zucchero, il che ha facilitato la lievitazione.
5 - Come formatura ho scelto di provare a formare un maxi croissant, stendendo una sfoglia piu' grande del normale.    Ma volete mettere la contentezza di chi si trova in mano un croissant fuori misura?   Cosi', nel consumo, il godimento e' assicurato e dura piu' a lungo.
6 - Infine: non ho scelto la forma a mezzaluna, ma una forma dritta, alla francese, secondo la sacra ricetta dell'Hotel Ritz.  Avevo pensato, ma poi non l'ho fatto, di creare una via di mezzo, producendo una forma leggermente arcuata, che, assieme alla dimensione extra sarebbe stata molto gradita.   Come dire un "arc en ciel", forma di comprovato successo.
NOTA - chi desiderasse spiegazioni sui vantaggi dell'arc en ciel e' meglio che mi contatti in PVT.

Basta scherzare adesso, badiamo alla sostanza (ecco!) e il risultato e' stato veramente eccezionale.

























Non vincero', ma ho imparato e mi sono divertito, questo conta, per me.


Ingredienti

400 g di mix di farine
    360 g di 00 W 350 di Garofalo
    40 g di 0 Coop marcata "adatta per pane e pizze"
    NOTA - scelte anche perche' hanno un'alta % di proteine
40 g di zucchero semolato
9 g di sale fino
220 ml di latte intero
4 g di aceto bianco
4 g di lievito di birra secco
40 g di burro normale, a temperatura ambiente
200 g di burro salato Lurpak, per sfogliare, 82% di grassi
1 uovo per spennellare
3 cucchiai da cucina di Vermouth bianco, non dry

 
Preparazione

In un recipiente che contenga circa mezzo litro mescolare latte, zucchero e sale, mescolare per far sciogliere, quindi aggiungere aceto e Vermouth.
In un altro recipiente, capace di contenere circa un litro e mezzo (ma io ho usato il cestello della planetaria) mescolare il mix di farine, preventivamente setacciato due volte, e il lievito.  Aggiungere il burro e gli ingredienti liquidi del primo recipiente.
Io che ho una planetaria Kenwood ho fatto impastare per un minuto a velocita' uno e un minuto a velocita' due.   Impastando a mano ci vorranno poco piu' di cinque minuti.
L'impasto risultante non e' eccessivamente duro, come lo sarebbe stato se avessi utilizzato solo farina W 350 o anche 400.
Formare l'impasto a forma di panetto approssimativamente quadrato, avvolgere nella pellicola e mettere in frigo per almeno sei ore, temperatura non superiore a 6 gradi.
Un'ora prima dello scadere del termine mettere il burro tra due fogli di carta forno e stenderlo in forma approssimativamente rettangolare.  Una volta steso metterlo in frigo per farlo indurire.
Passate le sei ore stendere il panetto col mattarello.  Sarebbe stato bello avere una sfogliatrice, anche piccolina, ma e' stato utilizzato il buon vecchio olio di gomiti.   Ho comunque aggiunto una sfogliatrice, il modello piccolo, alla mia wishlist:  "Dear Santa....".
Appoggiare il rettangolo di burro sull'impasto steso, facendo attenzione che non esca dai bordi.












Quindi procedere a una piega a tre, vedere foto sotto






















Avvolgere il nuovo panetto nella plastica e metterlo in frigo per almeno mezz'ora, temperatura non superiore a 6 gradi.
Altra stesura, altra piega a tre.  Altro riposo in frigo per mezz'ora.
Terza stesura e terza piega a tre, quindi in frigo per 45 minuti.  Non in freezer, perche' e' cosi' pieno che quando apro lo sportello mi cade sempre qualcosa sui piedi.
Passato quest'ultimo riposo prendere il panetto e sbatterlo, senza pieta', sul piano di lavoro, dice che serve per facilitare la lievitazione.
Stendere, e qui sarebbe servita una sfogliatrice, anche modello piccolo, fino a uno spessore di 4 millimetri o poco piu'.
Armarsi di righello e coltello affilato e tagliare i famosi triangoli.  Io ne ho sacrificati 4 per tagliare, al loro posto, un triangolone.  Servira' per il croissant fuori misura.
In ogni triangolo praticare sul lato corto un taglio di qualche centimetro ed allargare i due pezzi a formare delle orecchie.  Iniziare dalle orecchie ed avvolgere il croissant.  Alla fine piegarli a mezzaluna.
Farli lievitare in aria libera per circa tre ore (in cucina c'erano 24 gradi, con temperature maggiori ne bastano meno).
Qua sotto un croissant lievitato, per mostrare la sfogliatura a crudo  Si vede anche una ditata lasciata dal sottoscritto  (sgrunt).



Mettere in frigo per mezz'ora, poi spennellare di uovo (una sola volta, vedere la parte iniziale del post).
Dare una scossetta al vassoio e controllare che i croissant tremino, piu' o meno come un budino.  E' un segno di buona lievitazione.
E ci siamo.
Scaldare il forno a 190 gradi (forno statico), infornare per 15 o piu' minuti, comunque fino a che i croissants non iniziano a colorarsi di marrone chiaro.  A quel punto portare la temperatura a 230 gradi e far andare finche' il colore non sia marrone scuro.  Si formera' una crosticina da estasi.   Spostare su una gratella e far raffreddare, resistendo.























 Questo e' il croissantone.  Per avere un'idea delle sue dimensioni confrontarle con quelle del coltello da cuoco, a destra.   Per avere una buona cottura all'interno ho improvvisato una piu' lunga cottura in forno, a temperatura appena piu' bassa.   Per ottenere un buon risultato sono andato a sentimento.   Ulteriore conferma che sono un sentimentale (se questa battuta non vi e' piaciuta cancellatela pure dalla vostra mente).
























Questi invece sono i croissants di misura normale.  Bel colore, buona sfogliatura.

All'assaggio ci si rende conto che nei bar ci propinano robaccia.    Questi croissants sono altra cosa, e il tanto tempo di lavorazione e' ampiamente giustificato.    Un sentito ringraziamento a Lady Jane.
In questi miei croissants, in particolare, la croccantezza e' spiccata, il sapore e' burroso, e dolce e salato assieme, lo sbriciolamento e' delizioso.
In sottofondo si percepiscono i sentori delle spezie del Vermouth, specie addentando il morbido interno.
Adesso tutte le prove che ho fatto trovano giustificazione in queste bonta'.
Se dovessi definirli con un aggettivo direi: voluttuosi.


"Larga la foglia, stretta la via, dite la vostra, che ho detto la mia"

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05/09/15

50 E NON SENTIRLE! IL GIUBILEO DELL'MTC!









Giubileo MTC (punti esclamativi).     Ebbene, si, anche noi abbiamo il nostro Giubileo.   Dall'ebraico JOBEL, che significa "montone", veniva tanto tempo fa annunciato ogni 50 anni al suono di un corno di montone.
Noi ci accontentiamo di proclamarlo ogni 50 sfide.   E per la proclamazione non usiamo il corno di montone, ma piu' modernamente Internet.
Nel 2010 siamo partiti da una tipica origine, l'uovo, simbolo religioso, esoterico e artistico.  Chissa' dove arriveremo.
(Cinquanta e non piu' Cinquanta,  avremo un Mille e non piu' Mille?)

Ogni tanto (o meglio, ogni poco) qualcuno chiede "Ma MTC cosa significa?".
La versione ufficiale recita che MT sta per Menu Turistico, blog dove in origine l'idea e' nata, e che C sta per Challenge, sfida.   Tutta una roba virtuale, via web.
Nel mondo reale, invece, il significato appare chiaro: "Molti, Troppi Cuochi".
Quelli che devono giudicare lo sanno, agli altri serve qualche spiegazione.   L'MTC e' una sfida che si ripete ogni mese, salvo che per Agosto e Dicembre, ormai da 5 anni.
Non so se e' il contest di cucina piu' longevo in Italia, di sicuro e' il piu' seguito.  Sempre ai primi posti nelle classifiche del web.
Ogni mese viene dettato un tema culinario e i componenti del gruppo MTC devono produrre una o piu' ricette applicando e variando il tema fornito.
Il tema puo' essere una ricetta-tipo da reinterpretare, come per esempio le lasagne, oppure un ingrediente intorno al quale costruire qualcosa di nuovo, come per esempio l'uovo.
Le variazioni sono incoraggiate, in modo da impegnare i partecipanti a produrre qualcosa di nuovo.
Nel tempo si sono visti gli accostamenti piu' audaci, o le tecniche di cottura piu' strane.   L'importante e' che la ricetta funzioni, cioe' che sia ripetibile da chiunque ottenendo gli stessi risultati.


Tra parentesi la riproducibilita' da parte di chiunque, con l'ottenimento degli stessi risultati, e' la base del metodo scientifico e serve per validare le scoperte di uno scienziato.  
Potremmo quindi affermare che MTC trascende l'ambito culinario dilettantisco, muovendo verso l'empireo della scienza. 
Ma l'MTCino (qualifica spettante a chi partecipa a MTC) non si pone problemi di scientificita', produce e basta.  E si diverte un mondo facendolo.
Si diverte talmente tanto che aspetta a gloria l'uscita di un nuovo tema, quando lo conosce soffre nell'inventare la giusta ricetta da presentare, e quando infine l'ha prodotta e' felice, si sente libero e appagato.
Insomma: l'agonia e l'estasi.
L'abbiamo anche noi.
Ogni mese.

Tutto bello?   Insomma... alla fine di ogni mese, in pochissimi giorni, la giuria deve scegliere la ricetta vincente e deve scegliere tra circa 200 diverse ricette, o piu', compito arduo e faticoso.
In quei pochi giorni la giuria pensa "Ma chi me l'ha fatto fare?" e capisce fino all'essenza il significato di MTC:  Molti, Troppi, Cuochi.
Alla fine il vincitore viene proclamato e dovra' dettare il tema per il mese seguente.  Ed ergersi, lui, a giudicare il prossimo vincitore.

Se ci pensiamo MTC e' come una soap opera: un ciclo che si autoalimenta, produce sorprese a ogni puntata e non finisce mai.

La proclamazione del vincitore avviene via Facebook: malignamente, senza che il vincitore venga prima avvisato.  Di solito uno partecipa a MTC per vincere, ma con cosi' tanti concorrenti e tante stupende ricette viste nel corso del mese, non pensa mai di essere il vincitore.  Poi, quando capita, e' sopraffatto dalla sorpresa, viene subissato di complimenti e percio' realizza che "ha vinto MTC !!!".  Scene di giubilo, mancamenti, ansia.  Succede di tutto.  Di solito i familiari del vincitore si felicitano con lui e subito dopo cercano di calmarlo.  E, mentre lo fanno, pensano: "Questo MTC mette troppa agitazione".

Resta da parlare della giuria. E' composta da tre membri. Il primo giudice e' colei che ha lanciato MTC, la mitica Alessandra "Van Pelt" Gennaro (il nickname dice molto di lei).   Come detto il vincitore di una sfida detta il tema del mese successivo ed e' automaticamente nominato "Terzo giudice".
Ma se esiste un terzo giudice, allora deve essercene anche un secondo.
Nessuno sa chi e', nessuno lo conosce.   Forse non esiste?   O esiste, ma si tiene nell'ombra?   Forse lo tirano fuori ogni tanto per fargli prendere aria?
O forse e' un mito, una figura usata per spaventare i nuovi arrivati in MTC.

Nessuno svelera' mai il Mistero del Secondo Giudice.  
Nel frattempo l'avventura continua. 

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